Avere un figlio dopo aver affrontato cure oncologiche fino a qualche decennio fa era impossibile. Oggi grazie alla tecnologia e alla scienza è possibile con la crioconservazione degli ovuli e del tessuto ovarico. Ne parliamo con Monica Terenziani, Dirigente Medico Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e con Francesca Filippi Dirigente Medico Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Milano.
![](https://www.quotidianodellasalute.it/wp-content/uploads/2024/12/IMG_6404-Terenziani-Monica-225x300.jpg)
Cos’è la crioconservazione di tessuto ovarico?
«La crioconservazione di corticale ovarica è una procedura di preservazione della fertilità per le pazienti che si devono sottoporre a trattamenti gonadotossici. Dal 2019 è stata riconosciuta come pratica clinica dalle principali società internazionali oncologiche e di riproduzione. Inizialmente le candidate a tale tecnica erano le giovani prepuberi per cui erano previsti trattamenti ad alto rischio di compromissione della funzionalità ovarica e di esaurimento ovarico precoce. Successivamente la procedura è stata estesa anche alle donne con meno di 35 anni per cui non è possibile posticipare di due settimane l’inizio dei trattamenti medici, ovvero il tempo necessario per sottoporsi alla crioconservazione degli ovociti. Anche quando la paziente è particolarmente compromessa dal punto di vista clinico, è possibile considerare la biopsia ovarica dopo i primi cicli di chemioterapia».
Come avviene la crioconservazione del tessuto ovarico in giovani pazienti oncologiche?
«La crioconservazione di tessuto ovarico avviene a seguito dell’intervento chirurgico di prelievo di corticale ovarica o di ovariectomia monolaterale. L’intervento viene svolto in laparoscopia, in anestesia generale e consiste nell’introdurre degli strumenti tramite 3-4 piccole incisioni sull’addome (una a livello dell’ombelico e le altre 2-3 sulla parte inferiore dell’addome). Può essere anche svolta in corso dell’eventuale chirurgia eseguita per il trattamento oncologico. Il prelievo di tessuto ovarico può essere quindi eseguito presso le strutture che hanno in carico la paziente e successivamente inviato presso la banca di crioconservazione convenzionata».
Quanto tessuto deve essere prelevato?
«La quantità di corticale da prelevare va adattata all’età della paziente ed al rischio stimato di compromissione della funzionalità ovarica. Contestualmente, se ad esempio è prevista radioterapia pelvica, si può procedere a trasposizione delle ovaie per “allontanarle” dal campo di irraggiamento».
Per quanto tempo può essere conservato?
«Attualmente non vi è una “scadenza biologica” della conservazione del tessuto ovarico».
Quali sono i dubbi e le resistenze che genitori, familiari o pazienti stesse hanno sulla crioconservazione?
«Al di là dei dubbi di natura etica o religiosa, i genitori sono preoccupati di non arrecare ulteriore sofferenza/carico terapeutico ai loro figli. Spesso è difficile decidere perché si tratta di un momento già complesso come quello della diagnosi di un tumore e il discorso “fertilità” è visto come qualcosa di molto lontano e “secondario” rispetto alla possibilità di cura e guarigione. Le famiglie non vogliono esporre le proprie figlie a un’ulteriore ricovero/chirurgia in un momento già delicato come quello dei trattamenti oncologici. Nonostante qualche resistenza, alla fine la proposta viene accolta nella maggioranza dei casi a cui viene proposta».
![](https://www.quotidianodellasalute.it/wp-content/uploads/2024/12/franceca-filippi-policlinico-e1734000880598.jpg)
Dopo quanto tempo, si può utilizzare il tessuto ovarico conservato?
«Non esiste un limite. Il tempo dipende dall’età della paziente e dal tempo intercorso dalla fine delle cure. Un tempo necessario per metterla al riparo da un rischio elevato di ricaduta di malattia. Per ora l’indicazione all’utilizzo del tessuto ovarico è la ricerca della gravidanza. Quindi si utilizza quando la giovane donna, in menopausa precoce a causa dei trattamenti oncologici, esprime un desiderio di gravidanza. È sempre raccomandata una valutazione con i medici della riproduzione per valutare la strategia migliore per l’eventuale utilizzo del tessuto ovarico e per discutere dei rischi ostetrici materni e fetali di gravidanze dopo trattamenti oncologici».
Come viene conservato?
«La procedura di crioconservazione di tessuto ovarico richiede diverse ore di lavorazione. Prevede una prima fase di dissezione del campione bioptico in ghiaccio ad una temperatura di 0°C/ +4°C. Le “strip” di tessuto ottenute vengono quindi conservate in cryovial e congelate con la tecnica dello slow-freezing in azoto a -150°C, seguendo una curva standardizzata dei tempi di congelamento. Un frammento di tessuto viene sempre inviato in anatomia patologica per la conta follicolare e la ricerca di eventuali cellule tumorali».
Quali sono i centri accreditati?
«La procedura deve avvenire presso banche di cellule e tessuti riconosciute e accreditate dal Centro Nazionale Trapianti. È inoltre consigliabile che si tratti di strutture con una idonea expertise ed esperienza nel processare il tessuto ovarico per garantire migliori chances future di successo. Nel caso dell’INT è attiva una convenzione con la banca del centro PMA del Policlinico di Milano. Nel sito dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nella sezione dedicata alla PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) è possibile trovare un elenco di Strutture italiane che hanno la banca del tessuto ovarico».
Qual è la procedura per l’utilizzo del tessuto ovarico conservato?
«Prima di procedere allo scongelamento, va contattata la struttura in cui è conservato il tessuto ovarico e i relativi specialisti di riferimento. E’ consigliato contattare anche l’oncologo (pediatra o dell’adulto) di riferimento per discutere la situazione oncologica specifica del paziente. E’ necessario valutare la patologia per cui la paziente è stata trattata e quindi il rischio che nel tessuto ovarico crioconservato siano presenti cellule tumorali. Se indicato, per ridurre questo rischio, possono essere eseguite delle analisi specifiche su una strip crioconservata. L’attuale tecnica di utilizzo è il reimpianto del tessuto ovarico in sede ortotopica (sulle ovaie residue non più funzionanti o in una tasca peritoneale a livello pelvico) oppure eterotopica a livello del sottocute (questa però in caso si voglia ripristinare solo la produzione ormonale e non a scopo riproduttivo). Nel primo caso, è necessaria una laparoscopia».
Ci sono dei costi della crioconservazione? Chi li sostiene?
«I costi dipendono dai singoli centri. Nel nostro caso, l’intervento di crioconservazione e di eventuale reimpianto sono coperti dal SSN. L’unico costo a carico della famiglia/paziente è il mantenimento della crioconservazione pari a 100€ all’anno a partire dall’anno successivo a quello del congelamento».
In che percentuale la crioconservazione arriva a buon fine con la nascita di un bambino?
«La prima nascita da reimpianto di tessuto ovarico è stata riportata nel 2004 e da allora diverse centinaia di bambini sono nati utilizzando questa procedura. Nel 2021 è stata pubblicata la casistica di reimpianti più numerosa, eseguiti dai cinque principali centri europei con una probabilità di bimbo in braccio del 20-30%. In particolare occorre sottolineare che il 40% delle donne che hanno cercato una gravidanza dopo reimpianto di tessuto ovarico ha concepito in maniera naturale. La percentuale varia a seconda degli studi : in alcuni casi sono segnalate possibilità del 50-70%» .