venerdì, Giugno 20, 2025
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Tumori professionali: nuova era per il riconoscimento e la tutela dei pazienti

Una sentenza storica e un nuovo capitolo nel rapporto FAVO 2025 accendono i riflettori sui tumori professionali troppo stesso ignorati. Mensi (biologa ed epidemiologa) «Nel tempo della medicina di precisione non è più accettabile trascurare il passato lavorativo di un paziente. Capire da dove viene una malattia non è solo una questione di diagnosi: è anche un atto di giustizia»

Carolina Mensi
Carolina Mensi

Nel panorama della salute pubblica, una rivoluzione silenziosa è in atto: i tumori professionali, per troppo tempo relegati ai margini del dibattito medico e politico, stanno finalmente emergendo con forza grazie a nuovi strumenti di consapevolezza e una sentenza giudiziaria destinata a fare scuola.  A parlarne è la dottoressa Carolina Mensi, biologa e epidemiologa presso la Medicina del Lavoro Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, da anni in prima linea su questo fronte.

Un rischio invisibile, ma reale

«Il lavoro è ancora oggi un fattore di rischio sottovalutato», spiega Mensi. «Molti tumori vengono attribuiti solo a fattori genetici, al fumo o alla dieta, mentre le esposizioni professionali rimangono nell’ombra». Eppure, si stima che circa il 4% delle nuove diagnosi di tumore in Italia – pari a migliaia di casi ogni anno – sia legato all’ambiente di lavoro. La mancata raccolta della storia lavorativa del paziente durante la diagnosi rende queste connessioni invisibili, con gravi ricadute in termini di prevenzione e accesso ai diritti.

Un diritto esiste, ma non si esercita

La sorveglianza epidemiologica dei tumori professionali, è prevista per legge dal 2008 e
consiste nell’individuare fra tutti i tumori quelli causati anche dal lavoro. E’ coordinata dai registri nazionali collocati presso la sede dell’INAIL, che, a loro volta, si rifanno a registri regionali. Non solo, dal 2017 il riconoscimento della malattia professionale è previsto nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), con possibilità per il paziente di ottenere una rendita dall’INAIL a seguito di certificazione medica. In caso di decesso, tale diritto passa al coniuge. Tuttavia, denuncia Mensi, «pochi lo sanno e ancora meno riescono ad accedere a questa tutela per mancanza di informazioni e formazione».

La svolta di Vicenza

La recente sentenza di Vicenza, che ha riconosciuto lo scorso 13 maggio per la prima volta in Italia il nesso causale tra l’esposizione professionale ai PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) e la morte di un lavoratore, rappresenta una pietra miliare. Dimostra che, nonostante il tempo trascorso dall’esposizione, la giustizia può ancora intervenire a favore delle vittime. «I tumori che osserviamo oggi sono spesso il risultato di esposizioni avvenute decenni fa. Per questo serve agire subito: rafforzare la sorveglianza, formare i medici e informare i cittadini», ribadisce Mensi.

Il progetto con FAVO: formazione per medici e pazienti

Per colmare il vuoto informativo, Mensi ha curato un capitolo nel Rapporto FAVO 2025 dedicato proprio ai tumori professionali. Un’iniziativa concreta che include due box operativi con indicazioni chiare per avviare le pratiche di riconoscimento e far valere i propri diritti. L’obiettivo è doppio: sensibilizzare chi cura e responsabilizzare chi è curato.

Una medicina davvero personalizzata guarda anche al lavoro

«Nel tempo della medicina di precisione – sottolinea Mensi -, non è più accettabile trascurare il passato lavorativo di un paziente. Capire da dove viene una malattia non è solo una questione di diagnosi: è anche un atto di giustizia». La legge del 2008 obbliga le Regioni a istituire registri specifici per i tumori professionali, ma molte non lo hanno ancora fatto, generando un preoccupante squilibrio territoriale. Oggi abbiamo la conoscenza e gli strumenti per cambiare rotta. Il riconoscimento dei tumori professionali non è solo una questione sanitaria, ma un dovere etico e sociale. Come afferma Mensi: «Non possiamo più permetterci di ignorare ciò che il lavoro svolto a contatto con sostanze cancerogene come amianto, legno, cuoio,  metalli e molto altro, può provocare nelle persone a distanza di tanti anni».

 

Federica Bosco
Federica Bosco
Direttore Responsabile di QuotidianodellaSalute.it. Giornalista professionista, con una lunga esperienza nella comunicazione scientifica, sanitaria e nel sociale. “Parlare è un bisogno, ascoltare un’arte” diceva Goethe e forte di questo pensiero a poco più di 20 anni durante gli studi universitari ho iniziato a maturare esperienza in alcune trasmissioni televisive per raccontare lo sport, andando a cercare storie di promesse e futuri campioni. Completati gli studi al master di giornalismo e pubbliche relazioni di Torino, ho iniziato a collaborare con il quotidiano “Stampa Sera”, per diventare qualche anno più tardi inviata per la testata giornalistica Video News, del gruppo Fininvest. Dal 1998 mi occupo di giornalismo di inchiesta. Tra il 2013 ed il 2015 ho condotto una trasmissione televisiva per Media system dedicata al terzo settore per poi virare nella comunicazione sanitaria e scientifica. Amo le sfide e per questo in trent’anni di carriera non mi sono mai fermata. Ho cercato sempre nuove avventure: televisive, radiofoniche, su carta stampata e, negli ultimi dieci anni sul digitale. Nel frattempo, ho pubblicato tre libri inchiesta: La Bambina di Bogotà (2015) tradotto anche in inglese, Sbirri Maledetti eroi (2019) tradotto in francese, tedesco e inglese e RaccontaMI (2021). Apprezzo la gentilezza e la sensibilità, valori che provo a trasmettere anche nel mio lavoro. Professionalità, precisione e rigore sono caratteristiche che mi contraddistinguono. Ho scritto un romanzo su una storia di adozione internazionale perché credo che l’amore non abbia confini... e i bambini siano il bene più prezioso della vita. Amo i miei figli. Adoro viaggiare e scoprire volti e storie da raccontare. Ho fatto atletica per dieci anni a livello agonistico, amo lo sprint, la competizione e il gioco di squadra tre valori che mi ha trasmesso lo sport e che ho fatto miei. Vorrei riuscire a guidare una squadra vincente in grado di scalare una montagna e una volta arrivata in cima capace di pensare di essere solo a metà del percorso.
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