Sono circa 2000 i nuovi casi di mesotelioma in Italia ogni anno. I dati sono in lieve diminuzione, ma si tratta pur sempre di una malattia letale su cui è meglio non abbassare la guardia. Il messaggio arriva forte e chiaro dal Centro Operativo Regionale della Lombardia dove si lavora per tenere aggiornato il registro nazionale mesoteliomi (RENAM-INAIL) e quello di tutti i tumori professionali da amianto della Lombardia (una delle regioni più attive nella prevenzione, ma anche tra le più colpite dal mesotelioma con un tasso di incidenza di 5.6 per 100 mila negli uomini e 2.2 per 100 mila nelle donne rispetto ad una media nazionale che è di 3 per centomila negli uomini e 0,9 per cento mila nelle donne).
Quali sono i tumori professionali da amianto?
Il più noto è il mesotelioma, un tumore che colpisce la pleura, il peritoneo, il pericardio e la tunica vaginale del testicolo. È particolarmente aggressivo e insorge a distanza di decenni dall’esposizione all’amianto. «Anche se in Lombardia i numeri assoluti sono importanti, per OMS si tratta di un tumore raro (cioè colpisce meno di 5 persone ogni 10mila abitanti). Anche tra i ‘grandi esposti’ la percentuale di chi si ammala è inferiore al cinque per cento – fa notare Carolina Mensi, biologa, Responsabile del Registro Mesotelioma Lombardia presso Fondazione IRCCS Ca’ Granda del Policlinico di Milano -. Ad oggi non esiste una cura efficace per guarire o quanto meno cronicizzare la malattia, ma fare una diagnosi precoce permette ai clinici di rallentare il decorso della malattia che altrimenti non supera i dodici mesi».
Tumore del polmone, della laringe e dell’ovaio da amianto
Dal 2009 poi l’Agenzia Internazionale sul Cancro (IARC) ha acceso i riflettori su altri tumori correlati all’esposizione all’amianto, come il tumore del polmone, della laringe e dell’ovaio. «Abbiamo iniziato la sperimentazione della metodologia epidemiologica indicata dal Registro Nazionale in Provincia di Pavia: acquisiamo le storie contributive INSP e selezioniamo i casi da approfondire mediante colloquio. Ad oggi oltre il 70% dei casi approfonditi sono risultati tumori professionali – prosegue la biologa -. Cosa significa questo? Che sono stati denunciati ad INAIL per avere un riconoscimento economico».
Il ruolo dell’amianto nell’insorgenza del mesotelioma
Per il mesotelioma è stato attivato nel nostro Paese un sistema nazionale di sorveglianza con segnalazione obbligatoria da parte di qualunque medico all’Autorità giudiziaria. I casi sono raccolti dai registri regionali ed inviati al Registro Nazionale Mesoteliomi (RENAM-INAIL). I lavoratori più coinvolti sono quelli dell’edilizia e dell’industria metallurgica e metalmeccanica a cui si riferiscono il 60% dei casi registrati. Nel restante 40% dei casi i malati sono cittadini esposti alle polveri d’amianto perché conviventi con lavoratori che utilizzavano l’amianto al lavoro e tornavano a casa con indumenti e il proprio corpo contaminato da fibre, oppure semplicemente residenti in zone con elevato inquinamento causato da industrie che producevano manufatti in eternit come Casale Monferrato (AL), Broni (PV) e Bari.
I sintomi e la ricerca
Riconoscere i sintomi di un mesotelioma non è facile: anche dopo 20, 30 o 40 anni dall’esposizione si manifesta con difficoltà respiratorie, tosse, dolore toracico, e formazione di liquido pleurico. Le probabilità di sopravvivenza a un anno dall’insorgenza della malattia sono molto basse, anche se le attuali chemioterapie hanno migliorato la prognosi e recenti studi hanno evidenziato come il ruolo dell’immunoterapia può essere prezioso per la cura del mesotelioma sarcomatoide (meno negli epitelioidi che sono i più numerosi). «L’esordio della malattia è subdolo – spiega Mensi -. Ma negli anni l’attenzione crescente ha portato a riconoscerne prima i sintomi. Si ausculta il torace di una persona, si sente la presenza di un versamento, si procede con la TAC che evidenzia il versamento e l’ispessimento della pleura ; si procede con la biopsia e si arriva alla diagnosi».
Dal 1992 una legge vieta l’impiego dell’amianto
Da oltre trent’anni in Italia è in vigore una legge che vieta l’estrazione, l’importazione, esposizione, la commercializzazione e la produzione. Non solo, con la 257/1992 la mappatura dell’amianto è un obbligo di legge. Le regioni sono responsabili delle mappature condotte utilizzando diverse tecniche: volo ad alta quota, droni, acquisizione e analisi di immagini satellitari. Devono poi sintetizzare i dati di censimento forniti dai cittadini alle ASL, integrandoli con le indagini cartografiche e territoriali effettuate. Una procedura complessa che richiede la volontà del cittadino di compilare moduli e di avere la consulenza di un professionista (ingegnere, architetto o geometra), la prontezza di ogni Regione di aggiornare i dati e di inviare regolarmente al Ministero dell’Ambiente i numeri esatti. Solo una macchina perfettamente funzionante garantirebbe la reale visione dell’amianto ancora presente sul territorio da bonificare. Ma non è così.
40 milioni di tonnellate di amianto da smaltire
Se si considera che in Italia ci sono più di 40 milioni di tonnellate di asbesto ancora da smaltire, è evidente che c’è ancora molto da fare per arrivare ad una maggiore consapevolezza dei cittadini e ad una riduzione del rischio amianto. «I tumori professionali ci sono – sottolinea la responsabile del Registro delle malattie professionali -. In Lombardia se ne attendono circa 1200, mentre Inail ci dice che sono meno di 300. Un gap tra atteso ed evidenziato che denuncia una mancanza di forza lavoro in grado far emergere il sommerso».
Gli errori commessi
La macchina burocratica messa in moto per mappare tutto l’amianto presente sul territorio spesso si inceppa. Il censimento in auto-notifica infatti richiede che un proprietario di un tetto in cemento amianto lo renda noto all’ASL e segua poi le indicazioni del piano regionale. In alcuni casi il piano regionale è vecchio oppure il modulo incompleto, rendendolo dunque inaccessibile. Risultato: la mappatura non è veritiera e di conseguenza i fondi stanziati per la bonifica dell’amianto non coprono le reali esigenze. Così accade che i dati siano incompleti.
Monitorare il rischio oggi: il ruolo dello Sportello Amianto Nazionale
Un aiuto può arrivare dallo Sportello Amianto Nazionale che, con impiego di nuove tecnologie in collaborazione con uno Spin-Off dell’università di Chieti, ha messo a punto un sistema di riconoscimento dell’amianto tramite immagini satellitari e multispettrali. «Abbiamo sviluppato protocolli che possono identificare amianto su superfici fino ad un metro quadrato e automatizzato i sistemi con l’intelligenza artificiale – spiega Fabrizio Protti, Presidente dello Sportello Amianto Nazionale -. Nel 2019 abbiamo presentato alla Camera dei deputati un sistema WebGIS che integra tutti i dati disponibili e propone di creare un catasto nazionale dell’amianto. Abbiamo realizzato un portale: www.visureamianto.it che consente ai cittadini di verificare la presenza di amianto nelle vicinanze e messo a punto un algoritmo per confrontare immagini storiche con quelle post eventi (come trombe d’aria o terremoti) e valutare i danni alle strutture con amianto».
Ventiquattromila chilometri quadrati mappati
Grazie a queste tecnologie Sportello Amianto Nazionale ha oggi mappato più di 24 mila chilometri quadrati su un totale di 300 mila, con UNI (ente italiano di normazione) ha sviluppato due prassi: una per uniformare l’algoritmo regionale di certificazione dello stato di degrado, l’altro per definire le caratteristiche professionali necessarie per diventare responsabile del rischio amianto.
4000 comuni hanno detto sì allo Sportello Amianto Nazionale
Il servizio gestito da 30 volontari mediante una linea telefonica 0681153787 e un canale WhatsApp 342 7728749 attivo h24, oggi raggiunge 4000 comuni – su 8005 totali – e copre un bacino di 12 milioni di cittadini. Lo Sportello Amianto Nazionale risponde a domande su rischi, bonifiche e formazione. Il servizio è gratuito ma i comuni che sottoscrivono il protocollo d’intesa si impegnano a versare una cifra simbolica che corrisponde a due centesimi per abitante. Il range va da 250 euro per i comuni più piccoli con meno di 3000 abitanti, fino a 5000 euro per le grandi metropoli. «Esortiamo il cittadino a tenere alta l’attenzione in presenza di amianto – prosegue Protti -. Vogliamo far capire che l’amianto è un rischio e come tale va gestito, senza alimentare alcuna forma di terrore tra i cittadini».
Amministrazioni inadempienti
Un progetto virtuoso in grado di esaltare la collaborazione tra terzo settore e istituzioni, eppure non tutto va come dovrebbe. «Purtroppo, le amministrazioni comunali non sempre rispettano gli accordi presi alla stipula del protocollo d’intesa – ammette con rammarico il Presidente dello Sportello Amianto Nazionale -. Abbiamo un contenzioso che si aggira intorno al 20/30 percento annuo». Un difetto che non ha colore politico o ideologia, ma riguarda indistintamente governi di centrosinistra o centrodestra e che rovina le casse dello Sportello Amianto Nazionale, un’associazione senza scopo di lucro che, come tale, impiega le risorse economiche in formazione e nuove tecnologie.