venerdì, Giugno 20, 2025
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Tumore al pancreas: alleanza tra clinici e pazienti per creare una rete sul territorio

Dal San Raffaele di Milano nasce un progetto ambizioso per migliorare la cura del tumore al pancreas grazie alla formazione sul campo. A realizzarlo il prof. Michele Reni con la Fondazione Paola Marella

Prof. Michele Reni
Prof. Michele Reni

In un’epoca in cui la medicina punta alla personalizzazione delle cure, il tumore al pancreas rappresenta ancora una sfida aperta. A parlarne è il professor Michele Reni, oncologo e direttore del programma di ricerca clinica della pancreas Unit all’Ospedale San Raffaele di Milano, che sta portando avanti un progetto innovativo in collaborazione con la Fondazione Paola Marella, nata dal dolore trasformato in impegno civile di Domenico Traversa e del figlio Nicola dopo la morte dell’architetto e conduttrice televisiva Paola Marella.

Dal lutto alla speranza: il ruolo della Fondazione Paola Marella

«Il fatto che una famiglia colpita da un lutto tragico scelga di reagire con un progetto utile per la collettività è un gesto di forza morale straordinaria, afferma Reni – La Fondazione è nata con l’obiettivo di migliorare concretamente l’assistenza e la conoscenza sul tumore al pancreas. Un obiettivo ambizioso che parte da un’idea semplice ma potente: condividere l’esperienza della malattia per generare cambiamento».

Formazione sul campo: il cuore del progetto

Uno dei pilastri del progetto è la formazione residenziale sul campo per oncologi, strutturata come affiancamento diretto: il medico con meno esperienza segue per una settimana un collega esperto nella gestione di questa neoplasia. «Non serve solo studiare i testi scientifici, ma affrontare i problemi reali in ambulatorio», spiega Reni. Il valore aggiunto? Non solo la trasmissione di competenze pratiche, ma anche la creazione di una rete nazionale di professionisti connessi tra loro per scambiarsi opinioni sulla situazione dei pazienti e condividere scelte diagnostico-terapeutiche in tempo reale.

Una rete per avvicinare la cura al paziente

Il progetto punta a creare nodi saldi in tutto il territorio, per garantire che anche chi vive lontano dai grandi centri possa ricevere cure adeguate e tempestive. «Non possiamo pensare che tutti i pazienti si spostino verso pochi ospedali: dobbiamo portare la competenza dove si trovano i pazienti», sottolinea il professore. Una rete strutturata, quindi, non solo come supporto tra medici, ma come risposta concreta al diritto costituzionale di essere curati vicino a casa.

Ricerca indipendente e protagonismo dei pazienti

Reni sottolinea anche l’importanza della ricerca indipendente, non legata all’industria farmaceutica, e spesso sostenuta proprio dalle associazioni di pazienti. «Tra due settimane presenterò a Chicago il primo studio di fase tre interamente finanziato da pazienti», racconta. Ma la vera novità non è solo scientifica: «Il cambiamento sta nell’alleanza. I pazienti non sono più soggetti passivi, ma partecipano al disegno degli studi, aiutano nella comunicazione dei risultati e accelerano la diffusione delle cure».

Una nuova consapevolezza per un tumore ancora poco conosciuto

Il tumore al pancreas è uno dei più insidiosi, spesso difficile da diagnosticare precocemente. «Se escludiamo le classiche indicazioni sullo stile di vita, la vera prevenzione non esiste – spiega Reni – ma la consapevolezza può aiutare: parlarne di più, far conoscere i sintomi e sapere dove rivolgersi può fare la differenza». E in alcuni casi, come quelli ereditari, identificare il rischio in tempo con i test genetici consente di agire prima.

Costruire oggi per curare meglio domani

Il progetto nato con la Fondazione Paola Marella è ancora in fase embrionale, ma contiene già tutti gli elementi per un cambiamento duraturo grazie ad una alleanza tra medici e pazienti e ad una rete territoriale perché se le scoperte avanzano, è fondamentale che anche la capacità di metterle in pratica segua lo stesso passo. Come ricorda il professor Reni, «la scoperta è solo la ciliegina: la vera torta è il riuscire a lavorare insieme per il bene del paziente».

 

Federica Bosco
Federica Bosco
Direttore Responsabile di QuotidianodellaSalute.it. Giornalista professionista, con una lunga esperienza nella comunicazione scientifica, sanitaria e nel sociale. “Parlare è un bisogno, ascoltare un’arte” diceva Goethe e forte di questo pensiero a poco più di 20 anni durante gli studi universitari ho iniziato a maturare esperienza in alcune trasmissioni televisive per raccontare lo sport, andando a cercare storie di promesse e futuri campioni. Completati gli studi al master di giornalismo e pubbliche relazioni di Torino, ho iniziato a collaborare con il quotidiano “Stampa Sera”, per diventare qualche anno più tardi inviata per la testata giornalistica Video News, del gruppo Fininvest. Dal 1998 mi occupo di giornalismo di inchiesta. Tra il 2013 ed il 2015 ho condotto una trasmissione televisiva per Media system dedicata al terzo settore per poi virare nella comunicazione sanitaria e scientifica. Amo le sfide e per questo in trent’anni di carriera non mi sono mai fermata. Ho cercato sempre nuove avventure: televisive, radiofoniche, su carta stampata e, negli ultimi dieci anni sul digitale. Nel frattempo, ho pubblicato tre libri inchiesta: La Bambina di Bogotà (2015) tradotto anche in inglese, Sbirri Maledetti eroi (2019) tradotto in francese, tedesco e inglese e RaccontaMI (2021). Apprezzo la gentilezza e la sensibilità, valori che provo a trasmettere anche nel mio lavoro. Professionalità, precisione e rigore sono caratteristiche che mi contraddistinguono. Ho scritto un romanzo su una storia di adozione internazionale perché credo che l’amore non abbia confini... e i bambini siano il bene più prezioso della vita. Amo i miei figli. Adoro viaggiare e scoprire volti e storie da raccontare. Ho fatto atletica per dieci anni a livello agonistico, amo lo sprint, la competizione e il gioco di squadra tre valori che mi ha trasmesso lo sport e che ho fatto miei. Vorrei riuscire a guidare una squadra vincente in grado di scalare una montagna e una volta arrivata in cima capace di pensare di essere solo a metà del percorso.
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