La società 4.0 punta a canoni di bellezza e standard che oggi soprattutto nei giovani creano disordini, che poi diventano un grave problema sia per la persona che ne è affetta che per la sua famiglia. Sentiamo spesso parlare di un disturbo che tanti non riconoscono quale patologia psichiatrica vera e propria. Si chiama “Dismorfofobia” o Disturbo da dismorfismo corporeo.
Cos’è la dismorfofobia
Il termine dismorfofobia deriva dal greco e significa “paura della deformità”. E’ un disturbo psichiatrico caratterizzato da un’eccessiva preoccupazione per difetti fisici percepiti. Sebbene spesso inesistenti o minimali, possono degenerare fino a livelli di ansia debilitanti o interferenti col funzionamento quotidiano.
Problema neurologico non solo estetico
Tale condizione non è solo una preoccupazione estetica, ma rappresenta una grave problematica con radici neurobiologiche e socio ambientali profonde.
Studi genetici e familiari suggeriscono infatti una predisposizione biologica ereditaria. Molteplici fattori genetici contribuiscono alla vulnerabilità, al disturbo soprattutto a livello dei sistemi neurotrasmettitoriali quali serotonina e dopamina.
Colpa della genetica e dell’ambiente
L’interazione tra genetica e ambiente rende questa patologia altamente complessa.
L’ambiente familiare e le esperienze traumatiche infantili giocano un ruolo cruciale nello sviluppo di questo disturbo poiché influenzano profondamente la formazione dell’autostima, della percezione corporea e del rapporto con l’aspetto fisico.
I social media non aiutano
A complicare questo quadro subentrano anche i media esercitando una pressione su standard estetici spesso irrealistici, mediante la costante esposizione a immagini di corpi perfetti che creano un terreno fertile per lo sviluppo del Disturbo su soggetti predisposti.
I soggetti più esposti al rischio di dismorfofobia
Gli adolescenti sono sicuramente un bersaglio estremamente vulnerabile, in quanto sono in una fase di sviluppo in cui l’immagine corporea e l’autostima sono in una fase di formazione. E tra di loro il sesso femminile è particolarmente esposto a pressioni maggiori sul perfezionismo corporeo.
La dismorfofobia può essere associata ad altri disturbi psichiatrici, come la depressione, l’ansia sociale, il disturbo alimentare, il disturbo da uso di sostanze o il disturbo della personalità.
Quali sono i sintomi più frequenti?
- Preoccupazione eccessiva per un difetto fisico immaginario
- Bassa autostima
- Evitamento o limitazione delle attività sociali, lavorative o scolastiche a causa della vergogna e dell’imbarazzo per il proprio aspetto fisico;
- Ricorso a comportamenti ossessivi e compulsivi per nascondere o migliorare il presunto difetto fisico;
- Tentativi ripetuti o eccessivi di modificare il proprio aspetto fisico con trucchi, vestiti, accessori o interventi estetici
I possibili rimedi alla dismorfofobia
È di fondamentale importanza promuovere una consapevolezza critica sin dalla prima adolescenza con un’attività preventiva attraverso una rete coinvolgente la famiglia, la scuola con programmi formativi volti a promuovere una comunicazione positiva tra genitori e adolescenti e un modello di comportamento equilibrato riguardo all’aspetto fisico.
Stop alla manipolazione dei filtri per la ricerca di like
A tal proposito andrebbero strutturati programmi educativi volti a decostruire i messaggi dei social media in riferimento a tre punti: la manipolazione delle immagini mediante filtri, il costante confronto son altri utenti sui social media, l’approvazione sociale mediante “likes”. Promuovere la consapevolezza critica nei confronti dei social media è essenziale per aiutare le persone a riconoscere la natura artificiale e manipolata delle immagini che vedono.
Il percorso terapeutico per guarire dalla dismorfofobia
Terapie più strutturate possono essere effettuate nei casi clinici conclamati e comprendono una combinazione di approcci: psicologico, la terapia cognitivo comportamentale che aiuta a riconoscere e modificare i pensieri distorti riguardanti il proprio corpo, e la terapia farmacologica spesso con inibitori del re-up take della serotonina.
Acquisire la consapevolezza di avere un problema, diventando complianti con le terapie, potrebbe essere la strada giusta verso la guarigione.
A cura della Dott.ssa Cinzia Arancio, Psichiatra Ospedale San Raffaele Turro MI