Sempre più italiani scelgono la sanità integrativa. Tanto è vero che nell’ultimo anno e mezzo in Italia si è registrato un incremento del sentiment positivo verso la sanità integrativa pari ad un + 1075%. È quanto emerge da un’analisi realizzata da BigDa su siti web e social media nazionali tra maggio 2023 e gennaio 2025 e presentata ieri al CNEL durante l’annuale meeting di ONWS – Osservatorio Nazionale Welfare & Salute.
Perché gli italiani scelgono la sanità integrativa
Secondo quanto emerso nell’analisi realizzata in due anni di lavoro, la sanità integrativa oggi è vista sempre più come un supporto concreto per ridurre le liste d’attesa e colmare le carenze del Servizio Sanitario Nazionale. Non solo, è vista come uno strumento fondamentale nelle trattative sindacali per il suo ruolo strategico nei rinnovi contrattuali e nel welfare aziendale. Se inizialmente la sanità integrativa era percepita con diffidenza, legata a timori di scarsa trasparenza e al rischio di indebolire il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), l’averne spiegato ad una platea sempre più vasta funzioni, mission, strumenti ha contribuito ad un progressivo cambio di prospettiva.

«La sanità integrativa sostiene la salute dei lavoratori e delle loro famiglie, si alimenta grazie alle scelte delle parti sociali in sede di Ccnl e rappresenta una forma avanzata di welfare sussidiario a supporto di quello pubblico – spiega Ivano Russo, Presidente di ONWS – Tuttavia, può svilupparsi solo se realmente integrativa rispetto ad un SSN anche per intermediare una quota di spesa ad elevato valore delle famiglie, grazie alle auspicate riforme che il settore attende da anni».
La sanità integrativa in numeri
Secondo lo studio GIMBE per ONWS presentato durante l’evento, la spesa intermediata attraverso fondi sanitari, polizze individuali e altre forme di finanziamento collettivo in Italia nel 2023 ammonta a 5,2 miliardi di euro ovvero il 3% della spesa sanitaria totale e l‘11,4% di quella privata. Sempre secondo l’analisi, il 31,6% della spesa intermediata viene assorbito dai costi di gestione, mentre poco meno del 70% è destinato a servizi e prestazioni per gli iscritti. Tra il 2020 e il 2023, inoltre, i fondi sanitari integrativi hanno progressivamente aumentato le risorse destinate all’erogazione di prestazioni, riducendo il margine rispetto alle quote incassate.
Il futuro è nella sanità integrativa?
Il futuro della sanità va verso una forma di assistenza integrativa? Secondo Ivano Russo sembrerebbe proprio così, anche se dovrà crescere il numero degli aderenti. «Per arrivare a questo obiettivo sarà fondamentale strutturare un’azione seria di recupero dell’elusione contributiva da un lato, che in Italia purtroppo sfiora il 40% rispetto agli aventi diritto, e dall’altra estendere la sanità integrativa alle realtà contrattuali che non prevedono lo strumento del welfare sanitario» spiega il presidente di ONWS.
Il deterrente dei salari troppo bassi
A giocare contro ci sono però salari troppo bassi che richiedono uno sforzo notevole per destinare una quota alla sanità integrativa. «In un Paese come il nostro, dove ci sono salari tra i più bassi dell’Unione Europea e un potere d’acquisto ugualmente schiacciato, come ci dice l’Ocse, investire più risorse sottraendo la parte salariale risulta difficile – ammette Russo -. Tuttavia non c’è altra strada per far crescere questo settore. Comunque ricordo che, a fronte di una contribuzione media di circa 150 euro all’anno (meno di un abbonamento Netflix), garantisce ai lavoratori, alle rispettive famiglie, tutele sanitarie anche con piani che hanno un valore di mercato di migliaia di euro di prestazioni e servizi».
Regole più omogenee e welfare sanitario nel pubblico impiego
Per crescere Russo, infine, auspica che la riforma affronti i temi della governance «perché c’è bisogno di un riordino del settore e anche di regole più omogenee. Ci aspettiamo anche un intervento sugli ambiti operativi a vantaggio di una crescita della parte extra LEA e speriamo che il settore possa svilupparsi anche dal punto di vista del suo radicamento in ambiti dove oggi non è presente: penso ad esempio a tutto il mondo del pubblico impiego, parliamo di circa 3 milioni e mezzo di lavoratori, dei quali solo 300mila sono coperti da strumenti di welfare sanitario».