Perché un giovane dovrebbe fare l‘infermiere? L’attitudine di ognuno in tutte le professioni è la chiave di lettura del fenomeno. Per esempio io non potrei mai fare l’ingegnere, l’architetto, il commercialista e questo per un semplice motivo. Non mi piacciono i contenuti insiti in queste professioni, non mi trasmettono alcuna motivazione ed entusiasmo, non sono brava “a fare di conto”. Questo assunto può valere per tutte le professioni in particolare per le helping professions.
Cosa sono le professioni “helping”
Cosa sono le helping professions? Sono professioni con una connotazione: di rispondere a diverse richieste di aiuto provenienti da personale qualificato. Richieste di aiuto in ambito sanitario, sociale, psicologico, ma anche di sicurezza se pensiamo alle forze dell’ordine o ai vigili del fuoco. Queste professioni coinvolgono a livello emotivo il professionista perché sono quotidianamente in contatto con il dolore, la sofferenza, il rischio e la malattia altrui. Quando paliamo di professionisti sanitari, le helping professions si occupano dell’assistenza a persone con un’elevata situazione di disagio fisico e psichico. Chi generalmente sceglie questa strada deve sapere che la professione di aiuto non è una professione come tante altre. Nella fattispecie dell’infermiere, questo professionista viene a contatto con la malattia che nella persona assistita crea dolore, disagio, paura, a volte aggressività, in alcuni casi solitudine.
La peculiarità della professione infermieristica
Perché dovrei scegliere questa professione? La risposta si trova nel profilo dell’infermiere DM 739/94’. Gli infermieri sono responsabili dell’assistenza generale infermieristica. Ovvero prendono in carico tutti i bisogni della persona assistita, da un punto di vista biologico, psicologico e sociale. Quindi non solo i bisogni primari, ma tutto ciò che comprende la sfera affettiva, sociale e ambientale. In questo includiamo i caregiver, l’ambiente di vita, le abitudini, la presenza o meno di servizi sociali territoriali. In caso di pazienti stranieri la presenza di traduttori. Quante professioni possono vantare una visione così completa del loro operato? La visione non settoriale, determina la qualità e l’unicità della professione infermieristica.
Opportunità di fare la differenza
Scegliere la professione infermieristica significa avere la straordinaria opportunità di fare la differenza nella vita dei pazienti, aiutandoli a superare i momenti difficili della loro esistenza, quale l’impatto con la malattia. Soprattutto per coloro a cui la malattia ha lasciato una disabilità più o meno grave.
La capacità di fornire supporto emotivo attraverso l’ascolto, è una delle caratteristiche più preziose di questa professione. Durante le fasi più difficili di una malattia, la presenza di un infermiere può alleviare ansia, paura e solitudine. A differenza di altre figure sanitarie, gli infermieri sono costantemente presenti accanto ai pazienti, creando un rapporto di fiducia e sicurezza essenziale per il recupero. La loro prontezza e competenza in situazioni di emergenza possono fare la differenza tra la vita e la morte, rendendo il loro ruolo cruciale non solo per la cura quotidiana, ma anche in momenti critici.
Perché l’infermiere di famiglia è tra le professioni emergenti
Prendiamo ad esempio la figura sempre più emergente dell’infermiere di famiglia. Una figura di grande riferimento per il paziente e per la sua famiglia. A tal proposito ho avuto il piacere di interfacciarmi con un infermiere di famiglia. Ci ha voluto portare un esempio di quelle che sono le sue attività una volta varcata la porta di casa dell’assistito. Luigi (nome di fantasia) esercita come infermiere di famiglia da circa un anno e mezzo nella zona di Bergamo. Lui assiste quotidianamente circa 10 pazienti, ognuno con caratteristiche ed esigenze molto diverse. Persone affette da disabilità più o meno grave, giovani stranieri che non conoscono la lingua ma che necessitano di cure domiciliari e di un aiuto pratico per poter ottenere presidi e dispositivi medici, pratiche di invalidità ecc., anziani soli e affetti da patologie croniche che non deambulano e che non riescono neanche a raggiungere il proprio medico curante. Luigi ci presenta il caso di una coppia di anziani soli, ottantenni, che faticano a svolgere anche le più semplici attività del quotidiano, come andare dal medico di base, piuttosto che in farmacia o in posta.
Quando l’infermiere è anche case manager
In questi casi l’approccio del case manager svolto dall’infermiere di famiglia risulta inevitabile e per certi versi vitale. Queste due persone necessitano di un approccio mirato e integrato finalizzato all’ottimizzazione degli interventi da porre in essere e degli esiti delle cure. Questi due anziani, si trovano ad affrontare la solitudine, la difficoltà di gestire le terapie farmacologiche e gli appuntamenti sanitari, nonché il progressivo isolamento dovuto a limiti fisici. Luigi ha un ruolo centrale in quanto coordina e monitora i servizi di cura, adattandoli alle esigenze dei due pazienti. Grazie alla sua competenza, diventa un punto di riferimento per questi anziani, aiutandoli a mettere ordine nel loro fascicolo sanitario cartaceo, facilitando l’accesso ai servizi e restituendo loro un senso di controllo e sicurezza, riducendo al contempo il senso di ansia.
Un ponte tra medico di medicina generale e paziente
Luigi riesce a creare un ponte di comunicazione con il medico di medicina generale, aggiornandolo delle loro condizioni di salute. Comunica al curante i nuovi bisogni emersi in uno dei due coniugi, ovvero la necessità di potersi mobilizzare con l’ausilio di un deambulatore. Questa soluzione permette di agevolare un’autogestione in casa, rendendolo autonomo. Dopo essersi interfacciato con il medico, Luigi individua anche una strategia per far si che entrambi i pazienti possano assumere in maniera corretta le numerose terapie prescritte. Inoltre compila loro una tabella con tutte le visite mediche prenotate e i numeri di coloro che li accompagneranno. La soddisfazione di Luigi è tanta, ma soprattutto quella dei due coniugi anziani, che riferiscono di sentirsi meno abbandonati e più fiduciosi nelle cure. Adesso che Luigi suona quasi ogni giorno alla loro porta, non si sentono più soli con le loro patologie, e lo aspettano ogni mattina con la moka pronta per lui esclusivamente preparata. Questo può bastare per giustificare la remunerazione inadeguata, i carichi di lavoro, il mancato riconoscimento sociale? Sento di avere un’attitudine all’ascolto, all’accoglienza, all’empatia, ma a volte anche al coraggio di affrontare situazioni difficili come la morte dell’assistito e al forte impatto sulla mia psiche? La risposta è dentro ognuno di noi.