Uno studio internazionale ha portato a nuove scoperte sul meccanismo alla base della rigidità muscolare nei pazienti affetti da malattia di Parkinson. La ricerca, frutto della collaborazione tra l’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, il Dipartimento di Neuroscienze Umane dell’Università Sapienza di Roma, il Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università di Roma Tor Vergata, il National Institute of Neurological Disorders and Stroke negli Stati Uniti e l’UCL Queen Square Institute of Neurology nel Regno Unito, è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista Movement Disorders.
Cos’è il Parkinson
ll Parkinson è una malattia neurologica multiforme che si manifesta con sintomi diversi quando le cellule cerebrali che producono dopamina, una sostanza chimica che gioca un ruolo importante nel coordinare i movimenti, smettono di funzionare. Viene definita un “disturbo del movimento” perché può causare tremori, lentezza, rigidità muscolare, problemi di deambulazione e di equilibrio ma possono farne parte anche altri sintomi non legati al movimento, come stitichezza, depressione, riduzione dell’olfatto, disturbi del sonno e problemi di memoria, solo per citarne alcuni. Frequentemente si manifesta attorno ai 60 anni, e la sua incidenza aumenta con l’età anche se sempre più spesso interessa una fascia più giovane: il 10 % circa, infatti, è costituito da persone con meno di 50 anni.
I numeri del Parkinson in Italia
Oggi in Italia, secondo i dati ufficiali, sono circa 300 mila le persone affette da Parkinson (ma alcune stime arrivano al doppio). Frequentemente si manifesta attorno ai 60 anni e aumenta con l’avanzare dell’età, anche se colpisce sempre più spesso i giovani. Circa il 10% sono persone con meno di 50 anni. E purtroppo questo numero è destinato ad aumentare: nei prossimi 15 anni si stima che si arriverà a 6.000 nuovi pazienti l’anno, di cui la metà colpiti ancora in età lavorativa. Il Parkinson è la malattia neurologica in più rapida crescita al mondo.
Un sistema robotico per studiare le cause
I ricercatori dello studio internazionale hanno utilizzato un sistema robotico per misurare con precisione la rigidità muscolare nei pazienti. Questo dispositivo, progettato per muovere il polso a diverse velocità in modo controllato, ha permesso di studiare le diverse cause della rigidità, distinguendo tra quelle legate ai circuiti nervosi e quelle proprie dei muscoli.
Long-latency stretch reflex (LLR)

«Grazie a questo approccio innovativo -spiega il professor Antonio Suppa, Dipartimento di Neuroscienze Umane dell’Università Sapienza di Roma e I.R.C.C.S. Neuromed, coordinatore dello studio- abbiamo dimostrato che la rigidità dipende da un riflesso specifico, chiamato long-latency stretch reflex (LLR), che nei pazienti con Parkinson funziona in modo anomalo. La levodopa ha mostrato di ridurre significativamente questa anomalia, soprattutto durante movimenti rapidi». L’LLR è un meccanismo che regola la risposta muscolare a stiramenti improvvisi, coinvolgendo sia il midollo spinale sia il cervelletto.
La levodopa riduce la componente neurale
La levodopa, considerata il trattamento più efficace per i sintomi motori del Parkinson, non solo allevia i segni clinici, ma interviene direttamente sulla componente neurale della rigidità. «I nostri risultati -aggiunge Suppa- mostrano che, mentre le componenti muscolari intrinseche della rigidità rimangono invariate (ad es viscosità ed elasticità delle fibre muscolari), la levodopa riduce la componente neurale, diminuendo la resistenza opposta dai muscoli al movimento». Questo risultato offre una nuova prospettiva sulla modalità d’azione della levodopa e sul suo effetto diretto sul sistema nervoso.
Nuova visione della malattia
Il metodo robotico utilizzato nello studio ha permesso di analizzare come la rigidità muscolare cambi con la velocità del movimento, offrendo una nuova visione sui meccanismi della malattia. «Abbiamo descritto un circuito nervoso responsabile della rigidità nel Parkinson, che collega il tronco encefalico, il cervelletto e il midollo spinale-continua il professore- Questo circuito è influenzato dalla dopamina e potrebbe essere il punto di partenza per nuove terapie».
Ennesimo passo avanti della ricerca
La ricerca rappresenta quindi un passo avanti nella comprensione della malattia di Parkinson e dimostra il potenziale delle tecnologie robotiche per affrontare patologie complesse, costituendo una base per sviluppare trattamenti sempre più personalizzati.