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Ospedali dipinti: perché l’arteterapia fa bene ai pazienti

Con il progetto di arteterapia Ospedali dipinti, nato nel 2012, Silvio Irilli ha decorato 32 ospedali e 8600 metri quadrati di superficie. Un lavoro di ricerca e di condivisione con medici e psicologi per regalare sorrisi ai pazienti. Nel futuro di Ospedali dipinti ci saranno anche le RSA per aprire finestre su ricordi e riaccendere sogni negli anziani

Rendere accogliente una sala d’aspetto o un bunker di radioterapia può agevolare il successo di un esame o di una cura. È infatti scientificamente provato che un paziente, in un ambiente accogliente,  risponda meglio alle terapie e di conseguenza l’aspettativa di vita si possa allungare. A confermarlo sono le parole di  Silvio Irilli artista torinese che da oltre 10 anni  “colora” sale d’attesa, ambulatori  e sale bunker di radioterapia per piccoli pazienti con Ospedali Dipinti.  Un progetto di arteterapia che nasce a Chieri, in provincia di Torino,  dove Silvio Irilli vive e lavora.

Silvio, oggi siamo qui nel tuo laboratorio per raccontare la magia di Ospedali dipinti. Da dove iniziamo?

«Tutto ha avuto inizio nel 2012 quando alcuni medici dell’Ospedale Gemelli di Roma, dopo aver visto il dipinto realizzato all’aquario di Atlanta, mi chiesero di dipingere le pareti  della radioterapia oncologica. Un reparto destinato ai bambini e per questo molto delicato».

Quella è stata la tua prima magia…

«Sì, ho pensato di riprodurre un acquario con tutti i suoi personaggi. Ho iniziato così a decorare il corridoio che porta alla sala bunker con grandi pannellature con delfini e tartarughe su pareti e soffitti».

Qual è stata la reazione dei piccoli pazienti?

«I bambini entusiasti li salutavano, davano loro un nome e dimenticavano le terapie che stavano per iniziare. Quella circostanza fu toccante e iniziai a sviluppare un progetto per l’Ospedale Gemelli di Roma in modo che tutti bunker di radioterapia fossero tematizzati e interpretati in modo integrale. Pareti e soffitti dipinti per creare un percorso emozionale in modo che l’opera potesse abbracciare il paziente facendolo entrare in un’altra dimensione».

Il progetto di arteterapia  è diventato così sempre più grande…

«Il bunker di radioterapia con il tema del mare è diventato poi un sottomarino per “far salire a bordo” i piccoli pazienti impegnati nella battaglia contro la malattia».

Cosa è accaduto in quel momento?

«il bunker di radioterapia con il tema del mare ha dato riscontri positivi. Il bambino per fare la radioterapia deve coricarsi sul lettino dell’acceleratore. La stanza diventa buia e il macchinario ruota intorno in modo da colpire solo le cellule tumorali. Perché ciò avvenga è importante che il paziente stia fermo. Prima che io realizzassi l’opera il bambino veniva addormentato. Con la magia del mare e dei suoi personaggi che lo circondano oggi non è più necessario».

Perché l’arteterapia può migliorare la salute dei piccoli pazienti?

«Prima di entrare nella sala di radioterapia il medico inizia a raccontare una fiaba. Prepara il paziente in modo che, all’interno, venga rapito dalla magia dei delfini e delle tartarughe. in questo modo,  distratto dai colori, segue le indicazioni del medico e sta fermo».

L’arteterapia, dunque, diventa parte della cura?

«Esatto! I piccoli pazienti si sentono “protetti” dai nuovi amici, delfini e tartarughe,  e combattono con più forza la malattia. Proprio al Gemelli di Roma hanno constatato che le emozioni e la gioia possono aumentare le aspettative di vita, addirittura raddoppiarle nei pazienti terminali».

Un risultato straordinario della tua arteterapia che ti ha portato a “colorare” altri istituti di cura. Quanti sono oggi gli ospedali dipinti?

«Siamo arrivati a 32 per un totale di 8600 mq. Da Milano a Messina. E in ogni luogo la magia si ripete».

 Quanto tempo occorre per mettere a terra un’idea?

«Tutto avviene velocemente: la scelta del tema con medici e psicologi, dei colori e soprattutto l’incarico. Le mie opere non sono finanziate da denaro pubblico, ma da fondazioni e onlus. Quindi il sostegno arriva da privati che vogliono ricordare un familiare che non c’è più o da una associazione che sposa il progetto. Nelle mie opere c’è immediatezza e trasparenza. I reparti si trasformano in poche ore mentre la vita in ospedale non si ferma. In punta di piedi con il mio staff arriviamo già con i pannelli pronti, li applichiamo in poche ore il lavoro è fatto».

Il tema del mare è ricorrente, ma ci sono altri ambienti che funzionano negli ospedali?

«I fondali marini sono i più richiesti, Capitan delfino  e la tartaruga Charlie sono diventati delle mascotte. Anche il bosco con i suoi personaggi però è molto apprezzato».

Fuori dagli ospedali, dove porti la tua magia?

«Ho in corso un  progetto nelle scuole che partirà a breve da Messina e poi vorrei  decorare le pareti delle RSA con paesaggi  che possano evocare antichi ricordi e riportare colore e calore nella vita degli anziani».

 

 

Federica Bosco
Federica Bosco
Direttore Responsabile di QuotidianodellaSalute.it. Giornalista professionista, con una lunga esperienza nella comunicazione scientifica, sanitaria e nel sociale. “Parlare è un bisogno, ascoltare un’arte” diceva Goethe e forte di questo pensiero a poco più di 20 anni durante gli studi universitari ho iniziato a maturare esperienza in alcune trasmissioni televisive per raccontare lo sport, andando a cercare storie di promesse e futuri campioni. Completati gli studi al master di giornalismo e pubbliche relazioni di Torino, ho iniziato a collaborare con il quotidiano “Stampa Sera”, per diventare qualche anno più tardi inviata per la testata giornalistica Video News, del gruppo Fininvest. Dal 1998 mi occupo di giornalismo di inchiesta. Tra il 2013 ed il 2015 ho condotto una trasmissione televisiva per Media system dedicata al terzo settore per poi virare nella comunicazione sanitaria e scientifica. Amo le sfide e per questo in trent’anni di carriera non mi sono mai fermata. Ho cercato sempre nuove avventure: televisive, radiofoniche, su carta stampata e, negli ultimi dieci anni sul digitale. Nel frattempo, ho pubblicato tre libri inchiesta: La Bambina di Bogotà (2015) tradotto anche in inglese, Sbirri Maledetti eroi (2019) tradotto in francese, tedesco e inglese e RaccontaMI (2021). Apprezzo la gentilezza e la sensibilità, valori che provo a trasmettere anche nel mio lavoro. Professionalità, precisione e rigore sono caratteristiche che mi contraddistinguono. Ho scritto un romanzo su una storia di adozione internazionale perché credo che l’amore non abbia confini... e i bambini siano il bene più prezioso della vita. Amo i miei figli. Adoro viaggiare e scoprire volti e storie da raccontare. Ho fatto atletica per dieci anni a livello agonistico, amo lo sprint, la competizione e il gioco di squadra tre valori che mi ha trasmesso lo sport e che ho fatto miei. Vorrei riuscire a guidare una squadra vincente in grado di scalare una montagna e una volta arrivata in cima capace di pensare di essere solo a metà del percorso.
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