Mortalità infantile, nelle famiglie di immigrati è maggiore del 60% (con punte del 65% al sud Italia) rispetto alle famiglie di genitori italiani. Termina domani, 18 ottobre, il XIV Congresso SIMMESN, Società Italiana per lo Studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale
Disuguaglianze sulla salute dei bambini
In questi giorni di Congresso a Montesilvano, Pescara, la lettura magistrale del professor Mario De Curtis, ordinario di Pediatria all’Università La Sapienza di Roma, al congresso SIMMESN, ha ricordato che i minori con cittadinanza non italiana che vivono in Italia sono circa un milione, e rappresentano l’11,2% dei residenti tra 0 e 17 anni. Nell’anno scolastico 2020/2021, gli studenti con cittadinanza non italiana nelle scuole italiane erano 865.388, pari al 10,3% del totale degli studenti, e oltre il 75% dei minori con background migratorio è nato in Italia. Nel 2022 il numero dei bambini nati da entrambi i genitori stranieri è stato di 53.079, pari al 13,5% di tutti i nati. Considerando anche i nati da un solo genitore straniero (29.137), il totale arriva al 21% di tutti i nati. Numeri rilevanti, che consentono al docente di spiegare che «l’immigrazione fornisce un importante sostegno demografico all’Italia, con effetti sia a breve sia a lungo termine. Questi bambini, a causa delle particolari condizioni familiari ed economiche, sono spesso esposti a un rischio maggiore di malattia sia in epoca prenatale che immediatamente postnatale».
Al Sud mortalità più alta
«La mortalità infantile -continua De Curtis– è stata nel 2020 del 2,51 per mille, risultando superiore del 60% nei figli di genitori stranieri rispetto a quelli di genitori italiani (dati Istat 2024). E i bambini stranieri residenti nel Mezzogiorno, rispetto a quelli residenti nel nord Italia, hanno mostrato nel 2020 un rischio di mortalità infantile maggiore del 65%. L’aumento del rischio di mortalità e di patologie in questi bambini – evidenzia il professore- è riconducibile a condizioni perinatali legate alle donne immigrate: svantaggio sociale, economico e culturale; maggior numero di gestanti minorenni e ragazze madri; basso reddito familiare; attività lavorative meno garantite e più pesanti; alimentazione inadeguata; condizioni igieniche e abitative carenti; cure ostetriche e pediatriche tardive o inadeguate. Problematiche di integrazione legate a difficoltà linguistiche, alla mancanza di informazioni sui servizi disponibili e al timore verso le autorità locali. Una parte significativa delle patologie pre e postnatali potrebbe essere prevenuta con una più adeguata organizzazione dell’assistenza materno-infantile».
Sostenere le famiglie bisognose
Un’attenzione particolare, considera De Curtis, «dovrebbe essere rivolta al miglioramento delle condizioni socioeconomiche, poiché molti bambini provenienti da famiglie immigrate affrontano difficoltà economiche e sociali. Sostenere queste famiglie è quindi cruciale per garantire il benessere dei bambini. Una società equa e solidale non può permettersi di trascurare questi bambini, molti dei quali vivono in condizioni di fragilità. È necessario- conclude quindi il professore- un impegno concreto e tangibile da parte delle istituzioni per garantire che nessun bambino venga lasciato indietro».