La nutrizione per un malato oncologico è fondamentale. Nutrirsi nel modo corretto durante le cure permette di alleviare gli effetti collaterali delle terapie e dare energia al corpo già provato dalla malattia. Un aspetto che, pur essendo riconosciuto a livello scientifico, fino ad oggi, nonostante le linee di indirizzo ministeriale tracciate nel 2017, non ha mai avuto una gestione uniforme sia in ambito regionale che nazionale. Un gap che Regione Lombardia ha deciso di colmare con il primo percorso diagnostico terapeutico assistenziale dedicato alla nutrizione dei pazienti oncologici. Già approvato dalla Rete di nutrizione clinica, dalla rete oncologica lombarda e dalla Direzione Generale Welfare di Regione Lombardia questo documento ha il compito di ridefinire il ruolo della nutrizione clinica in ambito ospedaliero e territoriale. Ne parliamo con Riccardo Caccialanza, Direttore della Nutrizione Clinica dell’Ospedale San Matteo di Pavia, tra gli autori del programma.

Qual è la novità di questo PDTA per i pazienti oncologici?
«Con questo documento abbiamo cercato di dare una risposta di sistema a quello che è un bisogno crescente: ovvero il supporto nutrizionale tempestivo per i pazienti che si ammalano di tumore. In ottemperanza alle linee di indirizzo del 2017 Regione Lombardia è arrivata a produrre un documento che prevede per i pazienti oncologici una valutazione nutrizionale precoce e un’assistenza mirata in ambito nutrizionale».
Da dove siete partiti per arrivare ad un PDTA dedicato alla nutrizione del paziente oncologico?
«Il primo passo è stato rendere obbligatorio lo screening nutrizionale per tutti i pazienti ricoverati a partire dallo scorso mese di gennaio».
Perché è stata avvertita questa esigenza?
«Partendo dal presupposto che la nutrizione è modulabile e ha un peso specifico notevole in tutta la questione delle cure, siamo partiti con l’intento di rendere la terapia nutrizionale un vero e proprio trattamento obbligatorio, con un sistema che garantisca questo tipo di assistenza».
Che peso ha l’alimentazione nella cura dei pazienti oncologici?
«Secondo i dati della letteratura scientifica circa il 20% dei pazienti oncologici non muore per effetto diretto del tumore, ma per la malnutrizione. Il peso dunque è clamoroso, più di quanto si possa pensare. Certamente la progressione della malattia non dipende dalla nutrizione, ma sulla psiche il potersi nutrire rappresenta un fattore determinante per una partecipazione attiva alla cura. Gli oncologi dicono che alla diagnosi di tumore la prima domanda del paziente è “quanto mi resta da vivere”, la seconda “adesso cosa posso mangiare”.
Qual è stata la risposta dei pazienti a questo programma?
«Da sempre lavoriamo in stretta collaborazione con le associazioni di pazienti. La voce del paziente è essenziale perché restituisce il vero bisogno e soprattutto permette anche di esprimere la documentazione a quello che è il fruitore finale. Oggi abbiamo capito che la nutrizione è tra le priorità dei pazienti oncologici. Dieci anni fa questo aspetto era qualcosa di sommerso, ora non più. Quindi cerchiamo di dare risposte scientifiche, ma anche pratiche e questo PDTA vuole essere in qualche modo la cornice all’interno della quale ci muoveremo nei prossimi anni».
A che punto è l’iter del documento?
«La delibera dovrebbe arrivare nel giro di un paio di settimane. È già stata approvato dalla Rete di nutrizione clinica, dalla Rete oncologica lombarda e dalla Direzione Generale Welfare, ora c’è da evadere la parte burocratica. Dopodiché tutti gli ospedali dovranno adeguarsi».
Voi avrete il compito di monitorare?
«Rispetto al passato abbiamo oggi la fortuna di lavorare in rete. La Direzione Generale Welfare coordina tra le varie reti anche quella della Nutrizione Clinica. Il monitoraggio sarà fatto attraverso le cartelle cliniche di screening, e poi cercheremo di monitorare gli indicatori che abbiamo stabilito per i PDTA. Questo documento è anche un incentivo per rendere applicative le norme elaborate negli ultimi anni».
Una volta che tutto sarà a regime, in termini di costi quanto risparmierà il SSN?
« In Italia la malnutrizione clinica costa dieci miliardi euro, che vanno in fumo perché il problema della malnutrizione non viene affrontato. Non solo, il paziente malnutrito resta ricoverato il doppio del tempo. Chi fa il percorso di pre-abilitazione alla chirurgia oncologica mediamente sta due giorni in meno in reparto. Quindi a livello di studi di costi ed efficacia parliamo potenzialmente di decine di milioni di euro risparmiati e questo è l’obiettivo. Il problema vero che ci troviamo ad affrontare tutti i giorni è la carenza di risorse strutturali. Adesso Regione sta investendo sulla nutrizione clinica, quindi sappiamo già che ci saranno tre o quattro strutture in più, ed è fondamentale. Sta passando quindi il concetto che la nutrizione clinica è un investimento per il Sistema Sanitario. E siamo ottimisti. Ovvio che ci vuole tempo ed è un cambiamento che richiede attenzione affinché le resistenze gestionali abituali vengano superate, ma diciamo che rispetto a qualche anno fa la situazione è in miglioramento».
A livello di nutrizionisti ci sono risorse sufficienti per rispondere a questo nuovo modello?
« Se vogliamo fare la conta dei soldati, NO, ma stiamo cercando di formare delle figure intermedie infermieristiche. Modelli regionali basati sulla reale necessità in modo che il medico nutrizionista ospedaliero si occupi del coordinamento, dell’attività scientifica e dei casi più severi. Se si studiano dei modelli ragionati basati sulla reale necessità secondo me ci sono ampi margini per cercare quanto meno di essere più performanti».