Benché l’emergenza pandemica COVID-19 sia terminata, il virus persiste nella popolazione e gli effetti di lungo termine dell’infezione – il cosiddetto Long COVID appunto – hanno ancora un forte impatto negativo sulla qualità di vita di un’alta percentuale di soggetti che hanno contratto la malattia in forma più o meno grave. Per questo la scoperta fatta dai ricercatori dell’IRCCS Centro Cardiologico Monzino e dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’IRCCS Auxologico, ha una rilevanza internazionale. Marina Camera, Responsabile dell’Unità di Ricerca di Biologia Cellulare e Molecolare Cardiovascolare del Monzino e Professore Ordinario di Farmacologia presso l’Università Statale di Milano ha individuato i meccanismi molecolari alla base dei disturbi polmonari nei pazienti che soffrono della sindrome Long COVID, aprendo la strada a una possibile terapia.
La ricerca di Monzino, Università Statale e Auxologico sul Long Covid
I dati della ricerca, pubblicati su JACC BTS (Journal of American College of Cardiology Basic to Translational Science) evidenziano che in questi pazienti il danno polmonare può essere causato da uno stato infiammatorio con attivazione delle piastrine. Queste, legandosi ai leucociti, formano nel sangue degli etero-aggregati.
Cosa fanno gli etero aggregati
Questi etero-aggregati, entrando nel microcircolo polmonare, possono determinare danno vascolare e alveolare promuovendo deposizione di tessuto fibrotico. Il tessuto fibrotico è responsabile dei principali sintomi riferiti dai pazienti con Long COVID (dispnea, dolore toracico, astenia).
Una ricerca iniziata nel 2020
«Nell’era COVID, fra luglio e ottobre 2020, abbiamo reclutato presso il Centro Cardiologico Monzino e l’Istituto Auxologico Italiano 204 pazienti che avevano contratto il COVID nei mesi precedenti – spiega Marta Brambilla, ricercatrice del Centro Cardiologico Monzino e prima firma del lavoro -. Abbiamo escluso chi soffriva di gravi malattie pregresse o stava assumendo una terapia anticoagulante. Abbiamo identificato 34 pazienti con sintomi di Long COVID che sono stati confrontati con altrettanti soggetti che non presentavano sintomi dopo l’infezione da COVID-19. A questi soggetti è stato effettuato un prelievo di sangue per la valutazione dello stato di attivazione delle piastrine. I dati ottenuti hanno chiaramente indicato come nei soggetti sintomatici il danno polmonare evidenziato dagli esami TAC è significativamente associato a un fenotipo piastrinico pro-infiammatorio».
La novità
Diversi studi precedenti avevano avanzato l’ipotesi che il danno polmonare fosse causato dalla prolungata disfunzione endoteliale e dall’attivazione delle cellule immunitarie, con produzione di citochine che sostengono il processo infiammatorio. Tuttavia, la fisiopatologia dei sintomi e le ragioni dello stato infiammatorio e della conseguente disfunzione polmonare non erano state del tutto chiarite. Per Marina Camera, «questa ricerca ha identificato il ruolo centrale sia dell’infiammazione cronica di basso grado che delle piastrine. Livelli anche di poco superiori ai limiti di normalità di proteina C reattiva e di interleuchina 6 possono infatti sinergizzare e sostenere l’attivazione delle piastrine. Gli aggregati che esse formano con i leucociti potrebbero dunque spiegare la disfunzione polmonare promuovendo deposizione di tessuto fibrotico che compromette la funzionalità polmonare».
Come curare i sintomi del Long Covid
Lo studio suggerisce come terapia farmaci antiinfiammatori e antiaggreganti. La comune aspirina è in grado di contrastare questi processi e rappresenta dunque una potenziale opzione terapeutica. I sintomi più preoccupanti del Long COVID sono riconducibili alla compromissione del parenchima polmonare e possono durare anche un anno dopo la fase acuta dell’infezione. Per questo la ricerca cardiovascolare internazionale si è concentrata sulle cause della persistenza dei sintomi post-COVID. Questa ricerca completa il lavoro fatto dal centro cardiologico Monzino sull’impatto cardiovascolare del Covid 19.«Questo ultimo lavoro evidenzia infine non solo i meccanismi fisiopatologici, ma anche i biomarcatori utili per personalizzare la terapia farmacologica nella gestione della sindrome del Long COVID», conclude Marina Camera.