sabato, Febbraio 8, 2025
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L’Epicondilite: è ancora una malattia da tennisti?

L'epicondilite, causata da infiammazione dei tendini, del gomito oggi non riguarda solo gli sportivi, ma anche artigiani, gelatai, e chi utilizza il mouse. Il Professor Prof. Giacomo Placella Ortopedico presso l'unità di Ortopedia e Traumatologia all'IRCCS San Raffaele di Milano spiega come trattarla

Prof. Giacomo Placella Ortopedico presso l’unità di Ortopedia e Traumatologia all’IRCCS San Raffaele di Milano, Professore Associato dell’università Vita – Salute San Raffaele di Milano

L’epicondilite, più comunemente nota come “gomito del tennista,” è un’infiammazione dei tendini che si inseriscono sull’epicondilo laterale. Una prominenza ossea dell’omero che si trova sulla parte esterna del gomito. Nonostante il nome, oggi colpisce sempre meno frequentemente gli sportivi con racchetta e più comunemente i non sportivi.

Cosa genera l’epicondilite

È  una patologia tendinea dovuta all’infiammazione dell’entesi, ovvero il punto debole di unione tra tendine ed osso, degli estensori delle dita della mano. L’infiammazione si scatena di solito per due motivi: il disuso o il sovraccarico. Dunque uno sforzo eccessivo legato ad un sollevamento o anche le piccole azioni ripetute quotidiane non adeguatamente supportate dall’allenamento possono scatenare l’infiammazione. Ogni volta che afferriamo un oggetto, scriviamo, o usiamo il braccio per movimenti ripetitivi, i tendini possono subire piccole lesioni microscopiche. Se non vengono riparate in tempo portano al dolore ed alla infiammazione. Quest’ultima in alcuni casi perdura a lungo nel tempo tanto da cronicizzarsi ed a volte produrre delle calcificazioni.

Chi colpisce

Prima erano gli sportivi. Oggi  i tennisti, soprattutto, hanno imparato a difendersi dall’epicondilite che in passato li attanagliava spesso.  Il continuo movimento, l’uso di un manubrio, una impugnatura errata, gli errori di tecnica e fili troppo tesi comportavano l’insorgenza del “gomito del tennista”.  Governare la tecnica di gioco, scegliere lo strumento più adatto e l’aiuto delle valutazioni biomeccaniche ha fatto sì che difficilmente un tennista qualificato oggi accusi questa patologia. Anche i non professionisti raramente soffrono di epicondilite. Invece si rivolgono al nostro ambulatorio sempre più artigiani: pittori, giardinieri e gelatai.  O ancora più spesso chi lavora a lungo al computer perché una cattiva postura, l’uso del mouse e la mancanza di pause adeguate sono fattori scatenanti.

I sintomi

Il sintomo principale dell’epicondilite è il dolore che si localizza sulla parte esterna del gomito e può irradiarsi lungo l’avambraccio. Questo dolore tende a peggiorare durante attività che coinvolgono l’uso della mano o del polso, come afferrare oggetti, ruotare una maniglia, aprire una porta o sollevare dei pesi. In alcuni casi, il dolore può essere così intenso da limitare i movimenti quotidiani e rendere difficoltose le attività più semplici, come scrivere o aprire una bottiglia.

A livello pratico, l’epicondilite si sviluppa spesso gradualmente, iniziando con un lieve fastidio che può peggiorare nel tempo; a lungo andare come detto il dolore può diventare cronico, e la sua risoluzione diventa più difficoltosa.

Come si fa la diagnosi

 La diagnosi di epicondilite è principalmente clinica, basata sulla storia del paziente e sull’esame fisico. L’Ortopedico esamina il gomito, chiede di descrivere i sintomi e di identificare le attività che provocano il dolore e con semplici test clinici possono confermare la diagnosi.

In alcuni casi, può essere utile eseguire esami diagnostici per qualificare l’infiammazione e quantificarla: l‘ecografia è il test migliore, ma in casi più complessi può essere richiesta una risonanza magnetica (RMN).

Trattamento dell’Epicondilite

Il trattamento dell’epicondilite si basa inizialmente su strategie conservative. L’obiettivo principale è ridurre il dolore e l’infiammazione, e favorire la guarigione. Tra i trattamenti più comuni troviamo:

  • Riposo e Modifica delle Attività: Limitare o interrompere le attività che causano dolore è essenziale per permettere al tendine di recuperare. Questo potrebbe significare ridurre l’uso del computer, passare dal mouse al trackpad o ad un mouse ergonomico, se il paziente è sportivo cambiare tecnica durante l’allenamento, rivedere la tecnica o gli strumenti utilizzati; cambiare mansione se si lavora in fabbrica o nelle categorie lavorative a rischio.
  • Terapie Ginniche: Esercizi di stretching, pliometria e rinforzo muscolare possono aiutare a migliorare la forza e la flessibilità dei muscoli dell’avambraccio, riducendo lo stress sui tendini. La terapia manuale può anche essere utile per ridurre il dolore e l’infiammazione.
  • Farmaci Antinfiammatori: L’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) può essere consigliato per ridurre il dolore e l’infiammazione, soprattutto nelle fasi iniziali ma non è quasi mai la soluzione finale.
  • La terapia Fisica: le onde d’urto focali sono tra le terapie più efficaci, permettono tramite dei micro-danni inflitti alle cellule di far morire le cellule malate e sviluppare la nascita di nuove sane. È una terapia lunga, per agire impiega diverse settimane, ma spesso è risolutiva. Le terapie a “calore” come ultrasuoni, laser e tecar terapia, possono alleviare i sintomi durante le onde d’urto e spesso vengono prescritte insieme.
  • Infiltrazioni: Nei casi più gravi, si possono utilizzare infiltrazioni di corticosteroidi o collagene per ridurre l’infiammazione. Più recentemente, l’infiltrazione di plasma ricco di piastrine (PRP) e cellule staminali hanno mostrato la stessa efficacia dei corticosteroidi e vengono spesso prescritte. Bisogna diffidare però da chi prescrive queste terapie come primo step terapeutico perché spesso sono costose ed abusate.
  • Tutori: L’uso di un tutore per epicondilite, che comprime i tendini dell’avambraccio, può ridurre il dolore durante le attività e favorire il recupero, la sua azione è quella di ridurre lo stress sull’inserzione del tendine all’osso, è un ottimo palliativo che permette di ridurre la quantità di farmaci utilizzati per il controllo del dolore.

La chirurgia

La terapia chirurgica è l’ultima spiaggia: gli interventi che si possono fare sono invasivi e richiedono il distacco dei tendini, la loro stimolazione al sanguinamento con dei piccoli tagli longitudinali e poi la re-inserzione all’osso in una posizione più distale in modo che la loro tensione sia diminuita. I risultati sono altalenanti, e non proteggono dalle recidive se non cambiano le condizioni scatenanti.

A cura del Prof. Giacomo Placella, Ortopedico presso l’unità di Ortopedia e Traumatologia all‘IRCCS San Raffaele di Milano, Professore Associato dell’università Vita – Salute San Raffaele di Milano

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