Il prossimo 19 settembre in Conferenza Stato Regioni si deciderà il futuro della professione infermieristica con la probabile approvazione dei decreti riguardanti l’assistente infermiere e la revisione del profilo dell’OSS. Due novità che daranno vita a grandi cambiamenti nel sistema sanitario italiano con ricadute sulla professione, sull’organizzazione e sui cittadini. Quotidiano della Salute ha affidato l’analisi della nuova figura a due autorevoli infermieri: Francesco Fanari, direttore didattico del Corso di Laurea in Infermieristica sezione ASST Fatebenefratelli- Sacco, presidio Fatebenefratelli, dell’università Statale di Milano e Anna Castaldo, infermiera PhD, referente qualità Direzione aziendale delle professioni sanitarie e sociosanitarie, ASST Pini- CTO, Milano, docente e già direttrice didattica del Corso di Laurea in Infermieristica presso l’Università Statale di Milano.
I dati: In Italia mancano 65.000 infermieri
In Italia mancano oltre 65.000 infermieri, numeri che parlano chiaro. La carenza di infermieri in Italia non è più sostenibile e da tempo è necessario un intervento sostanziale. Dopo la “campagna acquisti” oltre confine, in particolare Sud America per arruolare infermieri e operatori sociosanitari da impiegare in strutture ospedaliere e RSA, il Ministero della Salute ha deciso di istituire una nuova figura denominata “assistente infermiere” e attuare la revisione del profilo dell’OSS. Ma le novità non convincono gli addetti ai lavori che hanno subito messo in evidenza alcune criticità.
Revisione OSS cosa cambia?
«Il cambiamento era nell’aria ed è necessario, ma non nascondo alcune perplessità sull’esito di questo iter – esordisce Francesco Fanari -. Per quanto riguarda la figura dell’operatore sociosanitario, dopo oltre 20 anni dalla sua nascita, avvenuta nel 2001, una revisione è necessaria. Le competenze degli OSS saranno rinnovate e la formazione affidata a figure con laurea magistrale ed esperienza nel settore sanitario. Alle regioni spetterà poi il compito di scegliere gli enti di formazione che, a mio avviso, per maggiori garanzie di qualità, dovranno essere nell’ambito sanitario».
Assistente infermiere: 500 ore di corso teorico pratico sono sufficienti per formarli?
Se la revisione dell’OSS sembra essere accolta con sufficiente soddisfazione, altrettanto non si può dire dell’assistente infermiere (simile alla figura del nurse assistant di altri Paesi), per il quale gli esperti rilevano diverse criticità e fanno alcune osservazioni. «Il percorso ipotizzato non garantisce una formazione adeguata al nurse assistant per erogare prestazioni che oggi sono di competenza degli infermieri – prosegue Fanari nella sua disamina -. Faccio un esempio: la somministrazione dei farmaci o il monitoraggio dei malati in condizione di stabilità. Sono due aspetti che richiedono preparazione e formazione. Requisiti che queste nuove figure con 500 ore di corso teorico pratico non hanno».
Perché gli esperti hanno delle riserve sull’assistente infermiere
Sulla stessa lunghezza d’onda Anna Castaldo che aggiunge: «Gli assistenti infermieri saranno OSS con 2 anni di esperienza e un diploma di scuola secondaria di secondo grado, oppure – in DEROGA_- cioè in assenza del diploma quinquennale, OSS con l’obbligo scolastico assolto e 5 anni di esperienza, effettuando solo un modulo integrativo di 100 ore. Va anche però ricordato che molti OSS sono ASA o OTA riqualificati. Questo cosa significa? Che la formazione è approssimativa e non adeguata per i compiti richiesti e potremmo ritrovare assistenti infermieri con una istruzione di base, pari alla licenza media».
Gli infermieri sono favorevoli al nurse assistant?
La formazione di queste nuove figure darà forse un po’ di ossigeno alle strutture sanitarie e sociosanitarie (in particolare RSA) per tamponare l’emorragia infermieristica, ma di sicuro per i nostri esperti non cambierà le sorti della professione e non metterà un freno alla fuga all’estero. « Oggi in Italia mancano dirigenti infermieri e l’organizzazione delle strutture è in sofferenza – fa notare Fanari – Molte regioni non hanno una dirigenza infermieristica allo stesso livello del direttore sanitario e anche il numero di dirigenti infermieri non è proporzionale al numero di infermieri e i processi assistenziali da gestire. Questo è un ulteriore punto di debolezza perché rende complessa l’attività delle risorse umane: i dirigenti devono fare almeno due o tre concorsi all’anno per arruolare il massimo numero di infermieri possibili Una nuova figura alla filiera aggiunge complessità».
Che scenario si profila con l’assistente infermiere?
Evidenzia ancora Castaldo: «Per gli infermieri si delinea uno scenario caratterizzato da confusione e conflitti, sovrapposizione di attività e livello di responsabilità, shift di competenze, in situazioni in cui è molto complesso garantire il processo decisionale e la corretta supervisione. Ma poi in uno scenario in cui gli infermieri sono pochi, bistrattati, demotivati, aggrediti a chi si riferiranno queste nuove figure? – si domanda -. Questo mette in gioco il tema della responsabilità professionale, dei risarcimento e l’impatto sulle assicurazioni».
Professione meno attrattiva è così?
Una scorciatoia formativa che non solo crea confusione, ma rischia di rendere il corso di laurea in Infermieristica ancor meno attrattivo anche da un punto di vista economico. «Infatti, un assistente infermiere arriverebbe a guadagnare facendo il turnista anche oltre i 1500 euro, la stessa cifra che oggi percepisce un OSS turnista ma anche un infermiere che lavora in un ambulatorio o in una casa di comunità dove non fa i turni. – sottolinea Fanari -. Questo è un grande problema perché da un lato non c’è un percorso di crescita professionale, ma con una minima formazione c’è il rischio concreto che gli assistenti infermieri vadano a svolgere il lavoro degli infermieri, permettendo di fatto all’azienda sanitaria di abbattere i costi».
Sui cittadini quali saranno le ricadute?
A farne le spese potrebbero essere i cittadini. È questo il timore maggiore per gli addetti ai lavori che incalzano: «Molti studi ci informano sugli outcome di salute ideali, da cui si evince che per garantire cure sicure il rapporto tra infermiere e assistito non dovrebbe essere superiore di un infermiere a sei pazienti. Ovviamente tanto più aumenta la proporzione tra infermieri e pazienti, tanto più gli outcome di salute saranno negativi. In altre parole, per ogni paziente in più assistito da un infermiere si producono esiti negativi per i pazienti come aumento della mortalità, ospedalizzazione, lesioni da pressione ed un aumento del burnout e dell’insoddisfazione sul lavoro per gli infermieri».
Lo studio RN4CAST
A sostegno della loro tesi, gli esperti portano anche i numeri di uno studio italiano, RN4CAST realizzato in 40 ospedali di 13 regioni, 292 unità operative, in cui sono stati coinvolti 3716 pazienti e 3667 infermieri. «Nelle strutture reclutate ogni infermiere assisteva mediamente 9,5 pazienti, superiore alla media europea che è di 8 pazienti ogni singolo infermiere – spiega Castaldo -. Dai risultati è emerso che il rischio di outcome avversi, inclusa la mortalità, è più alto per i pazienti assistiti negli ospedali italiani. Anche il ricorso a figure tecniche di supporto, es operatori sociosanitari, non è scevro da esiti negativi. Ad esempio, sostituire un infermiere con un nurse assistant ogni 25 pazienti produce un aumento del rischio di mortalità, ma anche di cure omesse, scarsa sicurezza e qualità dell’assistenza».
Le correzioni suggerite dagli esperti per l’assistente infermiere
«Un cambio di passo è necessario, ma sarebbe auspicabile che almeno la nuova figura dell’assistente infermiere riceva una formazione adeguata e professionalizzante in ambito universitario – dicono all’unisono Fanari e Castaldo –Una ipotesi di formazione a step potrebbe prevedere un primo livello per assistente infermieristico (primo anno), un secondo livello per infermiere generale (al termine del triennio), un terzo livello di specialità clinica (laurea magistrale) che abilita all’esercizio in alcune aree cliniche anche affini e di derivazione infermieristica come avviene già in altri Paesi A seguire la specializzazione (es. area critica, salute pubblica, comunità, salute mentale e cronicità) e infine un quinto livello per il dottorato di ricerca. Il vantaggio di utilizzare l’accademia per tutta la filiera delle professioni sanitarie permetterebbe a formatori esperti e ai singoli di definire a priori l’avanzamento delle competenze e le prospettiva di carriera».
Perché può essere anche una opportunità
«L’introduzione dell’assistente infermiere può essere un’opportunità per gli infermieri di dedicarsi alla governance dei processi assistenziali, dall’accertamento, decisione, pianificazione fino alla valutazione degli outcome di salute e dell’efficacia degli interventi assistenziali – concludono gli esperti -. Questa può essere anche un’occasione per rivedere l’assetto formativo e professionale e le classi di laurea di altre professioni sanitarie affini alla matrice infermieristica (es ostetrica, educatore sanitario, terapista occupazionale, logopedista, assistente sanitario, fisioterapista, dietista..).