venerdì, Giugno 20, 2025
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La scuola per ostetriche a Bossangoa ha la firma di Medici con l’Africa Cuamm

Dal cuore del Veneto all’Africa più fragile: una rete di medici, volontari e donatori costruiscono salute e speranza dove c’è più bisogno. Al Festival del Fundraising l’esperienza di Nicola Penzo, fundraiser impegnato a sostenere la nascita della scuola per ostetriche a Bossangoa nella Repubblica Centrafricana

Nel mondo degli aiuti internazionali, ci sono realtà che fanno la differenza silenziosamente, ma con un impatto profondo e duraturo. Una di queste è senza dubbio Medici con l’Africa Cuamm, organizzazione nata 75 anni fa a Padova e oggi punto di riferimento per lo sviluppo dei sistemi sanitari nei Paesi africani più vulnerabili impegnata nella costruzione di una scuola per ostetriche a Bossangoa, centro minore della Repubblica Centrafricana.

I numeri di Medici con l’Africa Cuamm

Con 3.500 operatori locali, 300 espatriati europei e oltre 5.000 volontari in Italia, l’associazione lavora ogni giorno per portare assistenza, formazione e infrastrutture in territori spesso dimenticati.

Presenza sul territorio, radici solide in Italia

«Il nostro segreto? Essere concreti e vicini. Non solo ai cittadini dell’Africa più povera, ma anche ai nostri donatori», spiega Nicola Penzo, fundraiser dell’organizzazione, intervenuto al Festival del Fundraising per raccontare la forza della relazione tra Cuamm e chi lo sostiene.

Nicola Penzo fundraiser di Medici con l'Africa Cuamm
Nicola Penzo fundraiser di Medici con l’Africa Cuamm

Con una sede a Padova e una rete capillare di oltre 40 gruppi territoriali – in gran parte formati da medici ed ex operatori tornati dall’Africa – Medici con l’Africa Cuamm ha saputo creare un modello di prossimità raro nel mondo della cooperazione: «Ci conosciamo, ci incontriamo, ci raccontiamo. Non è pubblicità: è partecipazione vera.»

Cura e sviluppo, non solo emergenza

L’impegno di Medici con l’Africa Cuamm non si limita all’invio di personale sanitario o di medicinali: la missione è più profonda e strutturale. «Puntiamo allo sviluppo, non solo all’emergenza», racconta Penzo. In concreto significa rafforzare i servizi sanitari locali, investendo sulla formazione. Un esempio emblematico è la nuova scuola per ostetriche che l’associazione sta costruendo a Bossangoa, nella Repubblica Centrafricana: la prima fuori dalla capitale del Paese. A questa si aggiungono quattro scuole per infermieri e ostetriche già attive in altri paesi africani. Un investimento sul lungo periodo che permette alle comunità di diventare sempre più autonome.

Il valore delle persone

Nel tempo, migliaia di medici italiani sono partiti con l’associazione per lavorare in Africa, ma sono soprattutto gli operatori locali a portare avanti ogni giorno il cambiamento: oltre il 90% del personale, infatti, è  africano, formato e assunto nei Paesi in cui si interviene. È un altro segno distintivo di Medici con l’Africa Cuamm, che crede nel protagonismo delle persone e delle comunità.

Una rete che non si spezza, nemmeno con il Covid

Durante la pandemia, quando la distanza sembrava incolmabile, Cuamm ha reagito potenziando gli strumenti virtuali per restare in contatto con i donatori e i volontari. «Abbiamo capito ancora una volta che il nostro punto di forza è la rete – ricorda Penzo –. Ogni anno organizziamo circa 400 eventi in tutta Italia, e anche nel periodo più buio, siamo riusciti a restare uniti.»

Nel 2024, su un bilancio complessivo di 49 milioni di euro, 9 milioni provengono da donatori singoli. Un dato che racconta la fiducia che tante persone ripongono in questa realtà.

Donatori e volontari: l’Africa non è lontana

«L’Africa è lontana geograficamente, ma noi facciamo di tutto per renderla vicina. Lo facciamo con i racconti dei medici, con le testimonianze dei volontari, con incontri reali», dice Penzo. La scommessa è sempre la stessa: avvicinare le persone, farle sentire parte di un progetto comune, concreto e duraturo. Medici con l’Africa Cuamm, infatti,  non è solo un’organizzazione: è una comunità fatta di cura, presenza e responsabilità condivisa. Un esempio di come si possa fare cooperazione con profondità, professionalità e cuore.

 

Federica Bosco
Federica Bosco
Direttore Responsabile di QuotidianodellaSalute.it. Giornalista professionista, con una lunga esperienza nella comunicazione scientifica, sanitaria e nel sociale. “Parlare è un bisogno, ascoltare un’arte” diceva Goethe e forte di questo pensiero a poco più di 20 anni durante gli studi universitari ho iniziato a maturare esperienza in alcune trasmissioni televisive per raccontare lo sport, andando a cercare storie di promesse e futuri campioni. Completati gli studi al master di giornalismo e pubbliche relazioni di Torino, ho iniziato a collaborare con il quotidiano “Stampa Sera”, per diventare qualche anno più tardi inviata per la testata giornalistica Video News, del gruppo Fininvest. Dal 1998 mi occupo di giornalismo di inchiesta. Tra il 2013 ed il 2015 ho condotto una trasmissione televisiva per Media system dedicata al terzo settore per poi virare nella comunicazione sanitaria e scientifica. Amo le sfide e per questo in trent’anni di carriera non mi sono mai fermata. Ho cercato sempre nuove avventure: televisive, radiofoniche, su carta stampata e, negli ultimi dieci anni sul digitale. Nel frattempo, ho pubblicato tre libri inchiesta: La Bambina di Bogotà (2015) tradotto anche in inglese, Sbirri Maledetti eroi (2019) tradotto in francese, tedesco e inglese e RaccontaMI (2021). Apprezzo la gentilezza e la sensibilità, valori che provo a trasmettere anche nel mio lavoro. Professionalità, precisione e rigore sono caratteristiche che mi contraddistinguono. Ho scritto un romanzo su una storia di adozione internazionale perché credo che l’amore non abbia confini... e i bambini siano il bene più prezioso della vita. Amo i miei figli. Adoro viaggiare e scoprire volti e storie da raccontare. Ho fatto atletica per dieci anni a livello agonistico, amo lo sprint, la competizione e il gioco di squadra tre valori che mi ha trasmesso lo sport e che ho fatto miei. Vorrei riuscire a guidare una squadra vincente in grado di scalare una montagna e una volta arrivata in cima capace di pensare di essere solo a metà del percorso.
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