Caro direttore,
Facciamo una ricognizione del motivo per cui gli infermieri hanno un peso scarso in Italia, forse è un problema di numeri? Di lobby o di titoli?
Il nostro bel Paese a volte riesce ancora a stupirci. Perché la categoria è così poco considerata al punto che, per far fronte ad una carenza di infermieri si opta per una figura intermedia – gli assistenti infermieri – per i quali è previsto una scorciatoia formativa? Il rischio è di screditare gli infermieri e alimentare confusione nei cittadini.
Il percorso universitario degli infermieri
Ascoltando i pazienti mi rendo conto che non tutti sanno quanto è alta la formazione di noi infermieri. Erroneamente tanti, troppi oserei dire. Questo inequivocabilmente genera poca fiducia nella nostra professionalità. Invece è bene ricordare che l’infermiere nel 1992 inizia il suo primo percorso universitario con l’Istituzione del “Diploma universitario in scienze infermieristiche”. Nel 1994 avviene la definizione del profilo professionale. Fino al 1995, poi, il sistema formativo regionale convive con l’avvio delle prime esperienze di corsi universitari. Tra il 1994 e il 1998 le Regioni stipulano i protocolli d’intesa con le Università, che diventano l’unico canale di accesso alla professione infermieristica. Il DM del 24 luglio 1996 disegna il nuovo ordinamento didattico universitario e rivede ancora una volta la denominazione del titolo che diventa “diploma universitario per infermiere”. Un ulteriore intervento legislativo, il DM 509/99 ridefinisce gli assetti del sistema universitario nel quale ormai si colloca a pieno titolo la formazione Infermieristica.
Infermieri, il titolo conta
L’attuale percorso formativo universitario infermieristico si articola in Laurea in Infermieristica (triennale e abilitante alla professione), Master di I livello, Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche (biennale), Master di II livello e Dottorato di Ricerca. Questo significa che coloro che decidono di percorrere tutte le tappe dovranno frequentare l’università per almeno (3+2+1+3=) 9 anni. Può bastare? Senza aggiungere ulteriore formazione condotta all’estero in forma discrezionale.
Più cultura meno rischi per il paziente
Il livello culturale dell’infermiere si è innegabilmente elevato. Dimostrato anche dai dati riportati in studi recenti, più aumenta il numero degli infermieri formati in ambito accademico più si riduce la mortalità dei pazienti nelle corsie ospedaliere, si riducono le infezione correlate all’assistenza, si riducono le ri-ospedalizzazioni.
L’importanza degli infermieri nella società
Gli italiani si sono accorti dell’importanza di avere risorse qualificate per migliorare assistenza e la sicurezza delle cure? Se il paziente è curato bene, anche in termini di prevenzione, riduce i costi del Sistema Sanitario Nazionale e questo è un dato di fatto. E allora caro direttore auspico che nel nostro Paese alla figura dell’infermiere venga data la giusta valorizzazione culturale ed economica, come già avviene all’estero. Un riconoscimento che renderebbe la professione più attrattiva anche per i giovani che ancora oggi, troppe volte, non lo scelgono per vecchi retaggi culturali. Perché ciò accada è importante che siano proprio gli infermieri a fugare gli equivoci, a valorizzare la loro professionalità e a spingere verso ruoli istituzionali i loro rappresentanti.
Giovanna, infermiera