
Immagina che il tuo corpo possa curarsi da solo, riconoscendo e distruggendo le cellule tumorali come farebbe con un virus. Questa non è fantascienza, ma l’essenza dell’immunoterapia, una delle più promettenti rivoluzioni nella lotta al cancro. Negli ultimi dieci anni l’immunoterapia ha dato speranza a molti malati oncologici. In alcuni casi addirittura ha sovvertito le previsioni portando il paziente alla remissione della malattia fino alla guarigione. Insomma, una novità che, dopo anni di studi, di sperimentazioni e di risposte positive è oggi una grande certezza per la medicina e una carta terapeutica su cui oncologi e ricercatori scommettono con la convinzione di aver trovato una chiave importante per scardinare in alcuni casi anche i tumori più resistenti. Ne parliamo con il Professor Paolo Andrea Zucali, Direttore della Scuola di Specializzazione di Oncologia Medica dell’Humanitas University e Capo Sezione Oncologia del tratto genitourinario e tumori rari del torace, UO di Oncologia Medica e Ematologia, Humanitas Cancer Center, Humanitas Research Hospital-IRCCS.
Professore, cosa rappresenta oggi l’immunoterapia?
«L’Immunoterapia è diventata nell’ultimo decennio un caposaldo terapeutico per trattare i pazienti oncologici. Questa terapia, infatti, va a disinnescare i meccanismi che impediscono al sistema immunitario di riconoscere le cellule tumorali, come cellule alterate da eliminare. In questo modo il sistema immunitario sarà di nuovo in grado di riconoscerle e di aggredirle».
Quando si utilizza questo tipo di terapia? Con o in alternativa ad altre terapie tradizionali (chemio e radioterapia?)
«A seconda della patologia e degli studi che abbiamo a disposizione, l’immunoterapia dimostra di essere attiva sia come unica strategia farmacologica, (anche con più farmaci immunoterapici contemporaneamente), ma pure in sinergia con la chemioterapia o con le terapie a bersaglio molecolare. Ovvero farmaci che agiscono su bersagli specifici espressi dalle cellule tumorali. In questo modo vanno ad inibire meccanismi che favoriscono la crescita delle cellule tumorali, a cui si aggiunge anche l’effetto dell’immunoterapia ovvero del sistema immunitario contro queste cellule neoplastiche».
Possiamo dire che aumenta l’aspettativa di vita di un paziente?
«In effetti l’immunoterapia in alcune patologie oncologiche è in grado di prolungare significativamente la sopravvivenza. Anche nella malattia metastatica, in alcuni casi, abbiamo osservato una remissione completa della malattia che può essere duratura nel tempo».
Quali sono gli ambiti di intervento con l’immunoterapia?
«Oggi viene utilizzata nella malattia metastatica, ma inizia a trovare spazio anche nel cosiddetto setting peri-operatorio. In particolare, dopo un intervento chirurgico per rimuovere la massa tumorale. L’utilizzo dell’immunoterapia in alcune patologie oncologiche è in grado di ridurre il rischio di ripresa della malattia perché aiuta ad eliminare cellule eventualmente evase dal tumore primitivo che, tecnicamente, non sono visibili, ma che sono già presenti prima della chirurgia».
A che punto è la ricerca sull’immunoterapia?
«Da circa dieci anni si utilizza per sconfiggere il melanoma e, negli anni, il suo impiego è cresciuto in altri tumori solidi come tumore del polmone, del rene, della vescica e del colon. Occorre però precisare che nella stessa tipologia di tumore, non tutti i pazienti rispondono ai trattamenti immunoterapici».
Mi faccia qualche esempio…
«Alcune caratteristiche biologiche possono identificare delle forme più responsive all’immunoterapia rispetto ad altre. Nel tumore del colon, ad esempio, quando è presente un’alterazione chiamata instabilità dei microsatelliti, (malattia facilmente riconosciuta dal sistema immunitario), la risposta all’immunoterapia è alta, in caso contrario è molto bassa. Nei tumori del polmone l’espressione del PDL 1, può guidarci nella scelta di utilizzare o meno l’immunoterapia».
Chi sono i pazienti a cui la terapia è più indicata?
««Sono i pazienti portatori di malattia oncologica potenzialmente responsiva all’immunoterapia. Dal punto di vista biologico, noi sappiamo che ci sono delle neoplasie dette “calde”, cioè che presentano un importante infiltrato di cellule del sistema immunitario all’interno del tumore, che risulterebbero più sensibili all’immunoterapia mentre altre, dette “fredde”, che non hanno alcun infiltrato di cellule del sistema immunitario al loro interno che risultano meno sensibili all’immunoterapia».
La ricerca dove sta andando?
«Lo sforzo della ricerca è quello di identificare dei fattori predittivi della risposta all’immunoterapia, cioè caratteristiche biologiche della malattia facilmente riconoscibili prima dell’inizio del trattamento in modo da sapere chi realmente beneficerà di tale trattamento e chi no, per non trattarlo inutilmente ed indirizzarlo su altri trattamenti. Questo migliorerebbe molto l’efficacia terapeutica dei nostri trattamenti e renderebbe anche più efficiente l’utilizzo delle risorse economiche oggi disponibili».
Ci sono effetti collaterali con l’immunoterapia?
«Quando si stimola il sistema immunitario sono possibili una serie di effetti collaterali. Il sistema immunitario potrebbe aggredire non solo le cellule neoplastiche ma anche le cellule normali del nostro organismo. E non sempre è possibile prevedere prima se e quali cellule verranno aggredite. A seconda del gruppo di cellule aggredite, avremo diverse forme di tossicità: cutanea se colpite le cellule della cute, epatica se colpite le cellule del fegato, muscolare se colpite le cellule dei muscoli (compreso il muscolo cardiaco). Queste tossicità non sono frequenti, ma è importante riconoscerle sul nascere in modo che non si aggravino. Tutti questi effetti collaterali, riconosciuti sul nascere, hanno nel cortisone un prezioso antidoto».
Il cortisone disinnesca anche l’immunoterapia?
«L’utilizzo di dosi elevate di cortisone potrebbe disinnescare l’effetto antineoplastico dell’immunoterapia. Nel caso di un’iperattivazione estrema del sistema immunitario contro cellule sane del nostro organismo e quindi difronte ad una tossicità severa che può mettere a rischio la salute della persona, la terapia steroidea ad alte è la priorità. Ma se i sintomi di una tossicità da immunoterapia si riconoscono sul nascere, si possono somministrare piccole dosi di steroidi che riducono gli effetti collaterali senza andare a ridurre l’efficacia dell’immunoterapia».
Con l’immunoterapia la percentuale di sopravvivenza di quanto è aumentata?
«Dipende dalle varie patologie oncologiche. Nel melanoma, i pazienti con malattia metastatica che prima dell’avvento dell’immunoterapia avevano una probabilità di sopravvivenza alla diagnosi inferiore ai 12 mesi, grazie all’immunoterapia, hanno una probabilità di sopravvivenza superiore ai 60 mesi (che diventa 120 mesi se consideriamo la sopravvivenza tumore-specifica)».
Gli obiettivi presenti e futuri dell’immunoterapia quali sono?
«Oltre all’identificazione dei fattori predittivi alla risposta all’immunoterapia, la ricerca vuole identificare strategie sempre più efficienti ed efficaci per indirizzare il nostro sistema immunitario contro le cellule tumorali. In effetti, l’immunoterapia è un contenitore molto articolato. Possiamo, infatti, manipolare il sistema immunitario utilizzando farmaci che rimuovono i blocchi che impediscono alle cellule del sistema immunitario di riconoscere e colpire le cellule tumorali; possiamo utilizzare dei vaccini sia per prevenire malattie oncologiche su base infettiva, sia per curare direttamente il tumore o possiamo “attrezzare” in laboratorio delle cellule del nostro sistema immunitario contro le cellule tumorali, come prevede la tecnica delle cellule CAR-T. Questa è una strategia già utilizzata con successo nell’oncoematologia. Ora si sta iniziando ad utilizzare anche nei tumori solidi dove, in questo momento, è ancora in fase sperimentale».
Possiamo concludere dicendo che con l’immunoterapia il futuro è più roseo?
«È un campo in enorme sviluppo con tante buone prospettive perché già sappiamo quanto il sistema immunitario sia implicato nella crescita del tumore, perciò, riuscire a manipolarlo a nostro vantaggio, può essere una chiave di volta per un controllo più efficace ed efficiente della malattia».