venerdì, Marzo 21, 2025
HomeRubricheIl bello che c'èIl Bello che c’è! Una luce racconta una generazione

Il Bello che c’è! Una luce racconta una generazione

Aurora Dozio, 21 anni, è una brillante studentessa al terzo anno di lettere classiche all’Università di Bologna. Dopo la magistrale si dedicherà al giornalismo, perché per lei la scrittura è luce. Portare un faro a chi non ha volto e voce. Da tre anni sta lavorando a un progetto sociale grazie a una numerosa community attiva sul suo profilo Tik Tok.

Il Bello che c’è! Una luce racconta una generazione senza filtri. Aurora è la grazia fatta persona. La gentilezza e la dolcezza che, quando incontri, fa bene al cuore. L’orgoglio di ogni genitore. Ho incrociato la sua strada perché da qualche anno, nonostante la sua giovane età, è entrata con dirompenza nel mondo dei social e dell’editoria.

Prendendo il volo

A soli 16 anni, Aurora, debutta con il suo primo romanzo: “Prendendo il volo”. Le recensioni scrivono di: “una giovanissima, con una rara consapevolezza, che racconta l’età magica, difficile e ineguagliabile dell’adolescenza”. Oggi Aurora è impegnata a raccogliere le storie di adolescenti, per il suo secondo libro. Da tre anni porta avanti un progetto sociale che vuole evidenziare una generazione che ha subito e passato momenti difficili, con lo scopo di dare forza a chi ancora li vive attarverso l’ascolto e il racconto.

Aurora, quando tutto ha inizio?

Era il 2020 ed eravamo appena usciti dal lockdown quando, dopo mesi rinchiusa dentro la mia camera, ho sentito il bisogno di fare qualcosa che mi permettesse di infrangere quelle spesse mura. Il Covid aveva messo tutti a dura prova, soprattutto chi, in quei mesi, era un adolescente con i suoi mille sogni chiusi dentro un cassetto, costretto a sigillarli a doppia mandata, mentre la pandemia imperversava fuori.

Disturbi mentali schizzati alle stelle

In quegli anni, lo dicono anche le statistiche, i disturbi mentali tra i ragazzi sono schizzati alle stelle: il peso della solitudine l’avevo sentito anch’io, sulla mia pelle e su quella delle amiche che avevo vicino. All’improvviso mi sono detta: “Ma perché non infrangerla? Perché non raccontare come tutti ci sentiamo soli e, di conseguenza, non saremo mai i soli? Però, diciamo la verità: quando hai 17 anni, chi ti prende sul serio? Dovevo trovare un modo, un filo di fiducia che mi legasse alle storie che volevo raccontare, storie che però non avevano, ancora, un volto.

Illuminazione: Tik Tok!

Ho passato alcuni giorni a sbattere, simbolicamente, la testa contro il muro, credendo, inconsciamente, che non ce l’avrei mai fatta. Poi, l’illuminazione: ho scaricato TikTok e ho creato un profilo. Nei miei video dicevo: “Ciao, mi chiamo Aurora, ho 17 anni e vorrei ascoltare le storie di tanti altri adolescenti da raccogliere in un libro. Le testimonianze di quei ragazzi che sono riusciti a superare un momento difficile e a vedere la luce in fondo al tunnel, per poter dare speranza a chi sta vivendo le stesse difficoltà.”

Arrivano centinaia di risposte

Il pubblico di Aurora alla presentazione del libro

La mattina dopo mi ritrovo più di 200 messaggi; il giorno seguente accade lo stesso e così via. Comincio a selezionare le storie che, leggendole, sembrano gridare e chiedermi di essere raccontate. Faccio le prime interviste su Skype, vedo i primi volti dei ragazzi attraverso lo schermo: quelle storie si trasformano in persone, occhi, espressioni, lacrime, carne e ossa. È commovente sentire che stanno scegliendo proprio me per raccontarsi, e in quel momento mi sembra che stiano aprendo una piccola fessura nel loro mondo, permettendomi di guardarci dentro.

Le storie prendono vita

Io annoto tutto sul mio computer rosa, non tralascio una parola, una riga: tutto è importante per far prendere vita a quelle storie. Passano gli anni e io non smetto né di descrivere né di commuovermi; il libro è finito, continuo a parlarne sui social, e mi contatta un’importante agenzia: “Vuoi essere una nostra autrice?” In quel momento, per la prima volta, ho capito che forse stavo andando nella direzione giusta: stavo raccontando una storia che non era soltanto loro, non era soltanto mia, ma era di chiunque avesse avuto il coraggio di ascoltare. Ad oggi, a questo libro stiamo ancora lavorando insieme.

Indagare l’evidenza

A chi mi chiede: “Come mai ne parlano con te e non con un genitore? O con un insegnante?” rispondo che i motivi possono essere tanti. Innanzitutto: un genitore o un insegnante non ti chiede se sei felice. Non si siede mai davanti a te e, guardandoti negli occhi, mette da parte la paura di trovarci dentro un buco nero. Molte volte è più facile far finta di non vedere l’evidenza, piuttosto che indagarla. E, certo, questo non è universalmente valido, ma in molti casi, per la mia esperienza, sì. In molti casi, per questi ragazzi è stato più naturale parlarne con una coetanea, sconosciuta ma che offriva ascolto, piuttosto che con un mondo ancora in parte sordo alla salute mentale, un mondo solo capace di giudicare.

Toccare il disagio

Sono stati tanti i disagi che ho incontrato, e purtroppo molti li ho dovuti “sacrificare”: anoressia, bulimia, lutti, aborto, rapporti complicati con i genitori, relazioni tossiche, bullismo, malattie terminali, autolesionismo. Sono disagi che tocchiamo tutti con mano, ma spesso senza nemmeno saperlo; sono i “cancri segreti,” come direbbe Pavese, che chi abbiamo accanto cerca di nascondere, ma che, se abbiamo il coraggio di guardare bene, emergono.

Portare in luce l’oscurità

Aurora Dozio

Questo è il motivo per cui ho deciso di portare avanti il mio lavoro di scrittura e di continuare con i social: per portare in luce ciò che spesso è più semplice lasciare all’oscuro, nascondere sotto un tappeto o chiudere in un cassetto. La responsabilità non è di qualcuno in particolare, ma non è nemmeno di nessuno.

Il disagio mentale esiste

Purtroppo, la società di oggi è ancora in gran parte a digiuno da una solida educazione sentimentale, che possa permettere di entrare in empatia e comprendere che un disagio mentale è un disagio che esiste e che davvero debilita. Perché se ti rompi una gamba nessuno ti chiede di camminarci sopra, ma se hai la depressione o l’ansia, tutti si aspettano che tu possa scacciarle via come se fossero solo un brutto e inutile pensiero.

Accettare la debolezza e accoglierla

La società della produttività ripudia la società dei sentimenti, come se le due cose si escludessero a vicenda, come se la seconda avvelenasse l’altra e la mettesse in pericolo. Ma la verità è che siamo soltanto esseri umani, fatti di più parti che tra loro sono in comunicazione e spesso si fondono. Se solo accetteremo anche la debolezza, potremo accoglierla e, con un grande lavoro, convertirla in consapevolezza che potrà divenire forza.

Fare informazione sui giovani

Per questo è necessario fare informazione su quello che è il reale status dei giovani di oggi: perché solo dalla consapevolezza di un disagio può nascere un aiuto concreto e reale e da un aiuto concreto e reale possono fiorire, a loro volta, nuove consapevolezze.

Al mondo le domande giuste

Da grande vorrei fare la giornalista, mi piacerebbe continuare a indagare l’animo umano senza pregiudizi, porre le domande giuste senza aver paura, cercare e costruire consapevolezze intorno a me così da poter indagare la mia e metterla sempre in discussione. Non smettere mai di ascoltare. Non dare nulla per scontato.

La riflessione

Sarete d’accordo con me nel riconoscere l’eccezionalità di Aurora. Una giovane consapevole e profonda, capace di saper ciò che è giusto per lei e per i suoi coetanei. Così ancorata ai suoi desideri e alle sue aspettative. Aurora rimette al centro la persona e il suo valore e, con ostinazione, traccia il percorso di chi vuole farcela, di chi rivendica le proprie fragilità con orgoglio, di chi sa che anche attraverso il dolore si può uscire più forti e determinati.

Grazie Aurora! 

Moira Perruso
Moira Perruso
Giornalista professionista da oltre 30 anni. Nasco come fotoreporter di cronaca. Un lavoro che mi ha permesso di mettere in fila, su una linea orizzontale immaginifica, occhio, testa e cuore, nel preciso momento dello scatto. Ho potuto vedere luoghi e avere dentro il mirino della mia Nikon volti e storie che mai potrò dimenticare. Solo più tardi all'immagine si è affiancata la scrittura. E' arrivata una notte, dopo il crollo di una palazzina a Milano. Il mancato arrivo del giornalista di una testata importante, che accompagnavo con le mie foto, mi ha reso improvvisamente protagonista. "Moira oltre la foto fai anche l'articolo?" Mi chiese il caporedattore di turno. "Ma cosa faccio? Non ho mai scritto?" E lui mi disse una cosa che illuminò la notte buia: "Scrivi quello che vedi". E così fu. Il mio battesimo arrivò davanti ad una palazzina crollata che si era portata via, sogni, progetti e pezzi di vita di numerose famiglie. Da quel giorno scrivo, racconto e rappresento la verità. Il mio motto è il primo dei dieci comandamenti della stampa di Piero Ottone: " Scrivi sempre la verità, tutta la verità, solo la verità"
ARTICOLI CORRELATI

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

- Advertisment -

Più popolare

Commenti recenti