giovedì, Aprile 24, 2025
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Il Bello che c’è! Ritrovare sé stessi con una fotografia

La consapevolezza passa attraverso la conoscenza di noi stessi. Iniziare un percorso, come quello del counseling, utilizzando uno strumento colmo di creatività come la fotografia può dare realmente la possibilità ad una persona di esprimersi. L’immagine è semplicemente un’espressione di ciò che proviamo in quel momento, è qualcosa di simbolico, che ci rappresenta nel qui e ora. È qualcosa di liberatorio. A volte catartico.

Ritrovare sé stessi con una fotografia è possibile. Il counseling serve quando si decide di intraprendere un percorso di crescita personale. Quando questo accade c’è una predisposizione a mettersi in gioco, a mettersi in discussione, a voler capire meglio sé stessi, più di quanto ci si possa già conoscere. Una persona può scegliere di impegnarsi in un percorso di counseling individuale (one to one) o di gruppo, entrambi accompagnati e guidati comunque da una figura professionale. A volte si possono fare entrambi, contemporaneamente, ce lo racconta Monia Di Santo, counselor di Milano.

Rimettersi in gioco

Monia di Santo, 49 anni, milanese, di professione fotoreporter, cinque anni fa, durante un momento di difficoltà personale e professionale, ha provato a cambiare la sua vita e ricomincia a studiare. Inizia la scuola di formazione ‘Collage’ di Milano e dopo tre anni prende il diploma in counseling a indirizzo bioenergetico gestaltico. «Avevo voglia di rimettermi in gioco, mettere ordine nella mia vita e aprirmi una nuova opportunità professionale da poter integrare al mio lavoro. Durante il tirocinio ho avuto l’idea di integrare il counseling con il lavoro di tutta la vita, la fotografia. Così ho ideato un laboratorio di crescita personale accompagnato dal lavoro fotografico, che le partecipanti stesse avrebbero realizzato», spiega Monia Di Santo.

Occuparsi dell’altro

Il counseling, un viaggio dentro di sè attraverso le foto
Monia Di Santo, counselor

«Occuparmi dell’altro vuol dire occuparmi anche di me. Ogni volta che si entra in contatto profondo con un cliente si entra in contatto con sé stessi -continua Monia- L’altro è uno stimolo che favorisce il confronto. Aiuta a guardarsi dentro, è un costante lavoro su di sé. Mantenere la centratura di fronte ai problemi dell’altro per fargli vedere un’altra possibilità, un’altra chiave di lettura della realtà o un’alternativa, sempre con rispetto, è qualcosa di prezioso. Quando ti accorgi che l’altra persona inizia a intravedere possibilità diverse e si rende conto di poter decidere, di essere libero di fare delle scelte per la propria vita è qualcosa che mi appaga, mi soddisfa, mi dà gioia. Raggiungere un “traguardo” insieme all’altra persona è un processo impagabile».».

Lavorare su sé stessi prima di farlo con gli altri

«Quando ho intrapreso il mio percorso di crescita personale, con la scuola, ero molto concentrata su di me. Nel counseling, oltre alla formazione e al tirocinio, si deve fare un percorso individuale. Bisogna lavorare su se stessi, ancor prima di aiutare gli altri. Ci si deve conoscere, si devono capire quali sono, innanzitutto, le nostre fragilità e le nostre risorse. E poi all’interno di un percorso di formazione si è sempre a contatto con il gruppo di lavoro, che spesso è fondamentale. È emozionante e arricchente far parte di un gruppo in cui le persone condividono le proprie esperienze facendo emergere il proprio vissuto emotivo e cognitivo. Grazie alle differenti caratteristiche che contraddistinguono ogni partecipante, si può trovare confronto, sostegno, coesione, contenimento, complicità, supporto».

I feedback ci rendono unici

«Il lavoro collettivo racchiude in sé un potenziale incredibile di socializzazione, comunicazione, di messa in gioco e offre una grande varietà di comportamenti diversi, che prima non consideravi. Grazie ai molteplici feedback si possono avere più riscontri e sentire l’urgenza di far emergere la propria unicità, che solitamente viene stimolata e sostenuta dal gruppo stesso», precisa Monia», precisa Monia.

Il benessere passa anche attraverso l’arte

«Talvolta i gruppi di counseling che promuovono il benessere di un individuo sono abbinati a forme d’arte come il teatro, la musica, la danza, la pittura, perché la creatività facilita l’espressione di sé e il processo di cambiamento -continua- Nella mia esperienza personale ho ideato un percorso di counseling accompagnato alla fotografia. Credo molto nell’integrazione tra counseling e arte e quindi anche nell’integrazione di queste due discipline. L’arte è frutto di un processo emotivo, cognitivo e corporeo ancor prima di essere messa in atto. Nel caso della fotografia, ancor prima di diventare un’immagine, si tratta di un’emozione, un pensiero, un’idea».».

L’immagine che evoca

L’esperienza mi ha portato a credere che una fotografia, se è scattata nel momento in cui si prova un’emozione, una forte sensazione, un’elaborazione mentale può rimanere impressa per sempre. E tutte le volte che si riguarderà quella immagine si avrà la possibilità di rievocare come ci siamo sentiti in quel preciso istante, anche a distanza di tempo, anche se il nostro sentire presente è differente.

Nel qui e ora

«Il mio laboratorio è incentrato proprio su questo concetto, per cui ad ogni incontro ci si racconta, partendo dal proprio vissuto, nel qui e ora. Come stiamo? Cosa sentiamo? C’è un’emozione o una sensazione corporea o un pensiero che prevale su ogni altro aspetto?  E così via fino ad arrivare a estrapolare una parola chiave che possa racchiudere la propria narrazione. Il mio aiuto consiste nel tradurre il tutto in immagine», precisa.

Raccontarsi attraverso l’immagine

«Ad ogni incontro si comincia guardando l’immagine scattata la volta precedente, per provare a sentire se qualcosa è cambiato. Questo processo permette di entrare in contatto con sé stessi, con la nostra parte più emotiva e profonda, e di raccontarsi più facilmente. Permette di capire se e come abbiamo rielaborato l’immagine che di noi avevamo scelto, se qualcosa è cambiato e in cosa è cambiato».

Pensare a ciò che si vuole

«Per ogni incontro il format è sempre lo stesso -precisa- Ad un certo punto, in maniera spontanea si inizia a porre attenzione su sé stessi e a che tipo di immagine può rappresentarci in quel periodo trascorso tra un incontro e l’altro. Si comincia ad innescare e ad attuare naturalmente un processo di elaborazione, che porta a pensare continuamente a sé, a come si sta e a cosa si vuole. La mia proposta, come counselor, vuole sollecitare e allenare la capacità immaginale innata nell’essere umano. È insita in ognuno di noi ed è una preziosissima risorsa, perché è strettamente legata alla creatività. È la capacità di vedere nuove possibilità, significati e prospettive, ed è in tutti noi».

Counseling, fotografia, Susy, Amelia e Susanna

«Aver introdotto la fotografia nel counseling è stata una idea accolto con entusiasmo ma anche perplessità dalle partecipanti. Ad esempio: Susy partiva dall’idea che la fotografia non le interessava assolutamente. Ebbene fu proprio Susy a concludere il percorso presentando un mini reportage della sua “rinascita”. Era riuscita a rimettersi in contatto con la sua parte più emotiva e creativa. Ha liberato delle emozioni, attraverso il percorso, che da tempo teneva silenti. Amelia, invece, aveva iniziato il percorso arrivando da un periodo davvero difficile, dopo un lutto familiare importante aveva deciso di partire, di cambiare vita completamente. Ci è riuscita e ora vive dall’altra parte del mondo. Una delle ultime fotografie che aveva proposto era una valigia appoggiata su una mensola, chissà da quanto tempo era lì. L’ha tirata giù, rispolverata, ed è partita. Susanna, invece, ha “rifatto pace” con i luoghi interni della sua infanzia, ritrovando più serenità, pensando al suo passato.», racconta Monia

Il bello che c’è di questa esperienza

«Tutto! Dall’inizio alla fine. Stare in contatto con l’altro è bello, vedere crescere l’altro è bello, vedere che si cresce insieme è bello, la relazione, la soddisfazione, il processo di crescita legato alla creatività. Tutto questo lo trovo meraviglioso, quasi magico. Conoscere le persone così profondamente e aiutarle, anche solo per un attimo, è un regalo e bisogna prendersene cura», conclude Monia Di Santo

Riflessione

Donarsi per aiutare a ritrovarsi. Cercarsi tra le immagini per riacchiappare il filo della vita che, a volte, perdiamo dalle mani a causa del troppo correre. Soffermarsi su noi stessi è la cosa più complicata da fare ma anche la più urgente. Viviamo aspirando alla felicità, invece, di esserlo in modo sfacciato ogni giorno. Forse dovremmo abituarci a “fotografare” di più i nostri attimi di felicità. A custodirli nel nostro album del cuore e a sfogliarlo più spesso, per non dimenticare mai di dare il giusto peso alle cose belle della vita.

Grazie Monia!

 

Moira Perruso
Moira Perruso
Giornalista professionista da oltre 30 anni. Nasco come fotoreporter di cronaca. Un lavoro che mi ha permesso di mettere in fila, su una linea orizzontale immaginifica, occhio, testa e cuore, nel preciso momento dello scatto. Ho potuto vedere luoghi e avere dentro il mirino della mia Nikon volti e storie che mai potrò dimenticare. Solo più tardi all'immagine si è affiancata la scrittura. E' arrivata una notte, dopo il crollo di una palazzina a Milano. Il mancato arrivo del giornalista di una testata importante, che accompagnavo con le mie foto, mi ha reso improvvisamente protagonista. "Moira oltre la foto fai anche l'articolo?" Mi chiese il caporedattore di turno. "Ma cosa faccio? Non ho mai scritto?" E lui mi disse una cosa che illuminò la notte buia: "Scrivi quello che vedi". E così fu. Il mio battesimo arrivò davanti ad una palazzina crollata che si era portata via, sogni, progetti e pezzi di vita di numerose famiglie. Da quel giorno scrivo, racconto e rappresento la verità. Il mio motto è il primo dei dieci comandamenti della stampa di Piero Ottone: " Scrivi sempre la verità, tutta la verità, solo la verità"
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