Il Bello che c’è! Quando lo sport è famiglia. Una famiglia capitanata da Cristina Marini, Società Ginnastica Pavese, un fiore nel deserto, che a sua volta ha generato centinaia di atlete ma, soprattutto, ha cresciuto persone consapevoli, le ha educate al sacrifico, alla bellezza e, non per ultimo, al coraggio.
Capitanare una squadra di ginnastica ritmica
«Ho iniziato da bambina a praticare la ginnastica ritmica. A sei anni conoscevo già il significato delle parole sacrificio e impegno. A 16 anni decisi di smettere, anche a causa di un brutto infortunio che non mi permise di far parte di una squadra di serie A, per la quale aveva già fatto un provino. Quella delusione e quello stile di vita che non lasciava spazio alla leggerezza della mia adolescenza, mi spinsero ad abbandonare tutto. Si sa, però, che, quando dentro di noi arde un fuoco, può smettere di bruciare ma non si spegne»
Il fuoco torna a bruciare
«A 33 anni quella lucina era ancora lì, dentro di me. Una luce che torna a splendere un giorno del 2009 quando incontro, per caso, la mia maestra di un tempo, Antonella Chiesa. In un attimo decido di vendere la mia lavanderia a Pavia e torno in palestra come insegnante. Oggi ho una famiglia, un marito, uno splendido figlio di 25 anni e due cani, ma stare con le ragazze per me significa tutto, stare con loro seduta a terra ad ascoltarle o semplicemente mangiare un panino al volo, la bellezza di poterle vedere crescere. È tutto quello che ho sempre voluto».
Come un libro
«Le mie atlete sono come un libro bellissimo: inizi e ti conquista e poi, pagina dopo pagina, lo divori perché vuoi vedere come va a finire. Io ho deciso che nella loro vita voglio esserci, voglio prenderle per mano quando entrano piccolissime in palestra e poi voglio lasciarle volare come farfalle quando diventano giovani donne. Voglio assistere al loro lieto fine».
Testimone anche dentro le sfide
Non sempre, però, il percorso è stato rosa e fiori. La vita di una persona spesso è frastagliata da intoppi, da frenate brusche che ci obbligano a resettare tutto. Ed è quello che è accaduto ad una atleta, Greta. «Il 17 novembre 2017 alla vigilia di una gara di serie B che avrebbe sancito il trasferimento della squadra in serie A, Greta è stata investita da un camion mentre andava a scuola. Ha rischiato di perdere l’uso del piede destro e si è fermata per un anno e di sicuro in pochi avrebbero scommesso sul suo ritorno in pedana».
Volontà e determinazione
«Con tenacia, determinazione e volontà Greta è tornata in pedana a distanza di pochi mesi. Dopo l’incidente è stata mandata al centro tecnico San Giorgio 79 Desio. Insieme ad Antonella Chiesa, si è deciso che per Greta quel posto era perfetto. A Desio si fa un certo tipo di percorso, è il sogno di ogni atleta, lì si allenano i campioni e quindi era il posto giusto per rimetterla in piedi e farla tornare a credere in sé stessa»
Le due maestre insieme per Greta
«Antonella era stata anche la mia insegnante, ma i nostri rapporti, con il passare del tempo si erano sfilacciati. L’incidente di Greta, però, ha saputo ricompattare e appianare ogni rumore di fondo. Andavamo in ospedale insieme quando Greta era intubata e in coma. Insieme abbiamo aspettato il suo risveglio e insieme l’abbiamo supportata e aiutata a farle tornare la fiducia, la tranquillità e la sicurezza. Tanto da farla arrivare sul più alto gradino del podio lo scorso anno, quando è diventata campionessa italiana alla palla nella categoria senior»
Oggi Greta è ancora in pedana
Oggi Greta ha 22 anni ed è ancora in pedana. Si allena tutti i giorni è appena diventata vicecampionessa italiana al nastro e studia fisioterapia all’Università di Pavia. «Con lei ho instaurato un rapporto che va oltre quello di allenatore e atleta. Per lei sono un punto di riferimento quotidiano e un grande supporto in palestra e nella vita. Lei a me ha insegnato tanto. Non l’ho mai trattata come una persona che aveva un problema, da lei ho sempre preteso il massimo»
Le sfide continuano, arriva un’altra batosta
Le sfide di Cristina però non sono finite, dopo aver restituito alla ginnastica un’atleta come Greta ha dovuto fare i conti con una situazione ancora più grave. Questa volta in palio non c’era una gara ma la vita.
La storia di Beatrice
Beatrice alla vigilia del campionato di serie B nel 2023 e a pochi giorni dal compimento dei suoi 18 anni, riceve la diagnosi di essere affetta da una sindrome rara. Un dramma che Cristina ha dovuto gestire anche con le altre ragazze e bambine del corso Gold della Ginnastica Pavese. Una prova di tenuta psicologica molto forte che Cristina ha superato alla grande.
La palestra è un faro
Anche per Beatrice, nonostante la malattia, la palestra è un punto fermo e Cristina un faro. «Io sono per natura un’ottimista, mio marito dice che il mio mondo è sempre a colori e che vedo tutto bello. In effetti sono sempre positiva, sempre costruttiva e quando parlo con le mie ragazze voglio trasmettere quella luce che tengo sempre accesa. Chi mi sta accanto deve viverla, quella luce».
Con Beatrice, però, ho barcollato, lo abbiamo fatto tutti
«Dopo Greta, arriva la batosta di Beatrice e li ho decisamente barcollato per qualche giorno. La storia, anche se diversa, si ripeteva: Eravamo di nuovo con una ragazzina, dei genitori e delle compagne di squadra in forte sofferenza. Uno sbandamento per tutti»
Anche Bea meritava una cosa bella
«Bea una volta rientrata in palestra ha seguito la squadra, anche solo come osservatrice e poi, dopo un’operazione e la chemio, si è ripresa. Doveva dare ancora tanto alla ginnastica e soprattutto doveva ricevere. Meritava qualcosa di bello. Ha lavorato sodo si è sacrificata e quest’anno è riuscita a fare il suo esordio in serie B. Insieme abbiamo fatto un gran lavoro e sono riuscita a portarla al campionato italiano Gold»
La ginnastica fa stare bene
«Bea non ha preso la medaglia ma abbiamo vinto ugualmente, perché abbiamo raggiunto un traguardo importante a cui accedono solo le migliori atlete senior e anche se ora è adulta non la voglio abbandonare. Quando la ginnastica fa stare bene tutto è possibile»
Famiglia e simbiosi
«Con la squadra delle grandi siamo in simbiosi, siamo una famiglia. Con loro condivido la vita. Parliamo, discutiamo e ci confrontiamo anche di ciò che accade fuori dalla palestra. A volte prendiamo le decisioni insieme e le tratto sempre da adulte. La mia squadra è composta da 4 ragazze, dai 18 ai 22 anni. Beatrice è nella squadra»
Come se fossero fiori
Cristina coltiva queste atlete come se fossero dei fiori e lavora tutti i giorni per non far scappare i ragazzi dallo sport. «Lo sport è fondamentale per la loro crescita, è quella parte che protegge dalla fuga nei social, dall’anonimato dei leoni da tastiera, dal disagio e dalla solitudine. È quello spazio che educa al sacrificio, al gioco di squadra, all’idea che si possa sbagliare ma che soprattutto si possa sempre imparare. La vita non ha filtri e non fa sconti. Per avere un risultato nello sport impari ad arrivarci con sudore e passo dopo passo. La vita non è tutto e subito, ma questo i ragazzi non lo sanno ancora, per questo bisogna stare al loro fianco».
Dare a loro degli strumenti
«Alle ragazze bisogna dare strumenti per affrontare il mondo. Cosa che oggi la scuola non riesce a fare. Io non punto il dito ma è un dato di fatto. Lavoro con bambine di 6 sino a ragazze di 22 anni e tocco con mano le loro fragilità».
La riflessione del Bello che c’è
Cristina, durante la nostra intervista, ha più volte ribadito che è importante dare sempre una speranza, anche se una gara va male, non importa, ci si rimette in gioco e, tra batoste e gioie, si deve raggiungere l’obiettivo. Se Greta e Beatrice sono tornate in pedana è anche, e soprattutto, grazie alla forza di questa donna incredibile, che è stata capace di creare intorno a loro una squadra e una famiglia. Una forza indistruttibile. In ogni parola e in ogni sospiro di questa intervista ho sempre registrato una forma assoluta di protezione, attaccamento e dedizione per le sue bambine che poi vede diventare donne. Cristina ha deciso di esserci nella loro vita, perché è sulla stessa linea d’amore della sua.
Grazie Cristina!