lunedì, Febbraio 10, 2025
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Il Bello che c’è! Quando la malattia insegna e fortifica

Francesca Granata (ricercatrice Malattie Rare), laureata in biologia molecolare della cellula e specializzata in scienza dell’alimentazione. Dal 2011 è ricercatrice presso la SC di Medicina ad Indirizzo Metabolico diretto dalla Prof.ssa Anna Ludovica Fracanzani presso il Policlinico di Milano. Dal 2018 è scientific advisor per l’international porphyria patient network (IPPN), un gruppo di pazienti come lei e tutti scienziati) e difende i diritti dei pazienti a livello Europeo e Nazionale grazie all’associazione Vivi porfiria di cui è la presidente e fondatrice.

La malattia e una diagnosi arrivata dopo 21 anni di sofferenze fisiche, e non solo. Francesca viveva nell’ombra e aveva crisi molto dolorose quando si esponeva al sole, crisi che venivano scambiate da tutti, medici compresi, per indolenza. Francesca, oggi, è una brava ricercatrice che ha combattuto per dare un senso alla sua vita e si adopera per aiutare gli altri.

Cosa sono le porfirie

Le porfirie sono un gruppo di malattie rare causate da un’anomalia nella biosintesi dell’eme, un componente essenziale dell’emoglobina. Questa anomalia porta all’accumulo di porfirine o dei loro precursori nei tessuti, scatenando una varietà di sintomi, che dipendono dal tipo di porfiria. Infatti, ne esistono diverse forme, che si distinguono in base alla parte del corpo principalmente coinvolta e al tipo di sintomi.

Epatiche ed eritropoietiche

Le porfirie si classificano in epatiche ed eritropoietiche. Le porfirie epatiche sono caratterizzate da attacchi acuti che si manifestano con dolori addominali, problemi neurologici e che possono, in casi estremi, portare il paziente in coma. Mentre le porfirie eritropoietiche sono associate prevalentemente a fototossicità e lesioni cutanee. La gestione della sintomatologia, che varia a seconda della forma, richiede spesso un approccio personalizzato e multidisciplinare.

Vivere nell’ombra

«Scoprire di avere la protoporfiria eritropoietica ha rappresentato per me un nuovo inizio – racconta Francesca-. Prima della diagnosi, avvenuta a 21 anni, ho vissuto nell’ombra. Sia fisicamente, perché espormi al sole, anche solo per 10 minuti, era per me invalidante, sia mentalmente, perché la mancanza di conoscenza spesso porta a percorrere strade sbagliate e a prendere precauzioni errate proprio per l’ignoranza sull’eziologia dei sintomi»

Dare senso alla vita

«Durante il percorso universitario- continua Francesca – ho cercato la diagnosi in tutti i testi di Biologia fino a quando, durante una lezione di biochimica delle proteine, ho finalmente trovato le risposte che cercavo. In quel momento ho capito di poter dare un nuovo senso alla mia vita: non solo perché sapevo come affrontare la malattia, ma anche perché potevo rendermi utile agli altri. Così ho deciso di intraprendere la carriera di ricercatrice.

Connettersi al mondo per aiutare le persone

«Se da un lato la malattia mi ha imposto dei limiti, dall’altro mi ha spinto a specializzarmi nel settore della ricerca medica, in particolare sulle malattie rare. Dopo vari anni di lavoro in laboratorio, ho compreso che vi era anche un’ulteriore esigenza, di tipo sociale: connettere pazienti a livello nazionale e internazionale. Questo processo permette ai pazienti di uscire dall’ombra sia fisicamente che metaforicamente e contribuisce a portare alla luce nuove conoscenze».

Patient advocate

«La gestione di questo tipo di processo risiede nella figura del patient advocate, un ibrido tra scienza e capacità diplomatiche e mediche. Un professionista che faccia da ponte tra le associazioni dei pazienti e l’ambito scientifico. Questo percorso mi ha permesso di trasformare una sfida personale in un’opportunità professionale, contribuendo alla comprensione e al trattamento di queste patologie».

Approccio clinico e burocratico

«La multidisciplinaritá delle malattie rare va trattata a livello clinico ma servono competenze anche di carattere burocratico e legale. Questo è il lavoro dei patient advocate rapresentative. Un lavoro essenziale ma che ha bisogno di sostegno, tempo da dedicare al progetto e retribuzioni adeguate. In assenza di questo supporto, anche economico, rischiamo che i ricercatori siano condannati a lasciare il Paese».

Un cervello in fuga, forse…

«Io credo – puntualizza Francesca -nelle potenzialità dell’Italia nel campo della ricerca. Per questo ho deciso, per ora, di restare e difendere i diritti dei pazienti. Attualmente sono una ricercatrice assunta nel comparto della sanità ma desidererei poter fare di più, anche come patient advocate. Purtroppo, la rigidità dei contratti che abbiamo non consente di spaziare e lavorare con la flessibilità che un ricercatore dovrebbe avere. Per questo motivo non escludo anche io, in un futuro, di dovermi spostare in un altro paese per poter crescere ulteriormente e raggiungere nuovi obiettivi».

Vivi Porfiria offre ascolto e soluzioni

«La mia associazione, Vivi Porfiria”, nasce con l’obiettivo di sostenere le persone affette da porfiria e le loro famiglie, sensibilizzando l’opinione pubblica e la comunità scientifica su questa malattia rara. Organizziamo eventi informativi, supportiamo la ricerca e creiamo una rete di connessioni per condividere esperienze e informazioni utili. L’associazione vuole essere un punto di riferimento per chi affronta la porfiria, offrendo ascolto e soluzioni pratiche».

Un evento nel 2023 per fare informazione

«Un esempio concreto del nostro impegno è stato l’evento del 23 novembre presso l’Auditorium Testori di Palazzo Lombardia a Milano. Un momento di grande importanza per la nostra comunità. L’incontro ha avuto l’obiettivo di promuovere la conoscenza delle porfirie, dando spazio a testimonianze dirette di pazienti, approfondimenti scientifici e interventi di esperti del settore medico e della ricerca. Durante l’evento, abbiamo anche discusso delle difficoltà che i pazienti affrontano quotidianamente e delle soluzioni innovative che stiamo sviluppando per migliorare la loro qualità di vita. In particolare, è emersa l’estrema necessità di giungere a diagnosi precoci evitando il rischio di perdere anni preziosi e di poter avere dei codici per l’invalidità che riconoscano la porfiria».

Qual è il bello in questa esperienza?

«Una sfida può diventare il “Bello che c’è” – conclude Francesca – quando la si trasforma in un’opportunità per crescere, imparare e aiutare gli altri. Il mio “bello” è stato scoprire una forza interiore che non pensavo di avere, unita alla capacità di creare qualcosa di positivo dalla mia esperienza con la malattia. Questo viaggio mi ha permesso di entrare in contatto con persone straordinarie e di costruire una comunità nazionale ma, soprattutto, internazionale, con la quale mi confronto costantemente. Il fine ultimo è contribuire a migliorare, sia come persona che come membro della società, apportando un beneficio che passa attraverso l’educazione e la comunicazione, facendo in modo che chi affronta una condizione simile alla mia non si senta mai solo».

Controcorrente per creare valore

«In un mondo sempre più individualista, creare tutto questo non è facile: fare comunità non è scontato e trovare persone meravigliose, come quelle dell’associazione Vivi Porfiria, è stata un’impresa difficilissima. Tuttavia, credo fermamente che si possa andare controcorrente e creare valore, dimostrando che insieme possiamo davvero fare la differenza».

La riflessione

Nel dialogo Francesca ha sempre mantenuto un filo costante di amarezza, che, inevitabilmente ha contagiato anche me. Davanti alla forza immensa di questa donna, dalla bellezza diafana, bisognerebbe non solo avere rispetto ma adoperarsi perché il suo contributo possa essere valorizzato come merita. Per questo bisognerebbe indignarsi ogni volta che intelligenze come quelle di Francesca sono costrette alla fine a dover lasciare il paese per potersi esprimere al meglio. Lo scriviamo spesso sul nostro giornale: la sanità italiana non splende come dovrebbe, su essa non ci sono risorse economiche sufficienti, mai nessun Governo italiano ha saputo dare lustro a questa eccellenza più millantata che valorizzata. Spero che Francesca rimanga, spero che la ricerca non abbia mai fine perché è il nostro unico modo di affrontare il cambiamento di questo pianeta e garantire ai popoli longevità e salute.

Grazie Francesca!

moiraperruso
moiraperruso
Giornalista professionista da oltre 30 anni. Nasco come fotoreporter di cronaca. Un lavoro che mi ha permesso di mettere in fila, su una linea orizzontale immaginifica, occhio, testa e cuore, nel preciso momento dello scatto. Ho potuto vedere luoghi e avere dentro il mirino della mia Nikon volti e storie che mai potrò dimenticare. Solo più tardi all'immagine si è affiancata la scrittura. E' arrivata una notte, dopo il crollo di una palazzina a Milano. Il mancato arrivo del giornalista di una testata importante, che accompagnavo con le mie foto, mi ha reso improvvisamente protagonista. "Moira oltre la foto fai anche l'articolo?" Mi chiese il caporedattore di turno. "Ma cosa faccio? Non ho mai scritto?" E lui mi disse una cosa che illuminò la notte buia: "Scrivi quello che vedi". E così fu. Il mio battesimo arrivò davanti ad una palazzina crollata che si era portata via, sogni, progetti e pezzi di vita di numerose famiglie. Da quel giorno scrivo, racconto e rappresento la verità. Il mio motto è il primo dei dieci comandamenti della stampa di Piero Ottone: " Scrivi sempre la verità, tutta la verità, solo la verità"
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