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Il Bello che c’è! Costruire insieme il cambiamento

Simone Feder, psicologo e coordinatore dell’area giovani e dipendenze della coop. Sociale Casa del Giovane di Pavia e Responsabile di due strutture terapeutiche e del Centro di Ascolto Giovani e Famiglie. È inoltre Responsabile psico-pedagogico e formativo delle strutture del Villaggio del Fanciullo di Morosolo (VA). Gestisce in Italia diversi progetti di prevenzione e sensibilizzazione verso varie tematiche adolescenziali. È stato per diversi anni giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano.

Il cambiamento avviene tutti insieme, quando l’altro è una risorsa e non un nemico. «Dobbiamo uscire dalle nostre comodità e andarli a prendere. Noi siamo un ponte di speranza per le famiglie». Queste le parole dello psicologo Simone Feder promotore del Centro studi sull’infanzia e l’adolescenza “Semi di Melo”, Coordinatore Nazionale dell’Associazione NoSlot e nominato dal Governatore della Lombardia quale Membro del Comitato di Indirizzo e coordinamento in area Dipendenze.

Il Team Rogoredo (Milano)

Il mercoledì sera all’ingresso del bosco di Rogoredo, in un non luogo, si genera da anni un importante momento di incontro tra i volontari e ragazzi tossicodipendenti. Li conoscono bene, li chiamano per nome, portano loro da mangiare, altre volte dei vestiti, li ascoltano. In una parola: non li lasciano soli. L’età dei giovani che iniziano a drogarsi si sta abbassando e il disagio delle famiglie è straziante. Simone Feder dice severo: «Gli irrecuperabili non esistono è un termine frutto di una cultura bacata». Simone Feder e i volontari sono pietre di inciampo che permettono alla gente di alzare lo sguardo.

Un appuntamento colmo di speranza e fiducia

Una speranza che ogni settimana a Rogoredo tanti operatori dei Cavalieri dell’Ordine di Malta, della casa del Giovane di Pavia e della Croce Rossa cercano di alimentare con una bevanda calda, due chiacchiere e un libro. Sì, perché la cultura può fare miracoli. Ne sono convinti i volontari.  Propongono un testo per alleviare la solitudine, un racconto scelto sui gusti, sulla personalità e sulle paure dei ragazzi del bosco. Per ognuno c’è una dedica scritta a mano da chi ha donato il libro. Loro la leggono, fanno un sorriso, ringraziano e vanno via. Sono una cinquantina tra i venti e i quarant’anni che ogni settimana si presentano all’appuntamento con i volontari. Ormai li conoscono e si fidano.

La società fatica ad offrire opportunità

«I giovani hanno bisogno di sentirsi parte di qualcosa di grande, di costruire legami autentici e vivere un senso di appartenenza -precisa Feder- Tuttavia noi, come società, fatichiamo ad offrire loro queste opportunità. Per questo motivo, spesso si orientano verso esperienze che regalano emozioni forti, siano esse trasgressive o legate a imprese sociali estreme. La differenza la fa il contesto in cui crescono: i valori trasmessi dagli adulti di riferimento, dai social, dalla musica e dal gruppo dei pari giocano un ruolo fondamentale nel loro percorso».

Le richieste di aiuto

«Molte richieste arrivano dai genitori, spesso spaventati e disperati, che si rendono conto del disagio dei figli solo quando ormai è troppo tardi -racconta Simone Feder- C’è la tendenza a immaginare l’aiuto come un intervento meccanico, con la speranza di “aggiustare” rapidamente i ragazzi. Ma non è così. Dietro ogni giovane in difficoltà c’è un sistema familiare e sociale in crisi. Per questo motivo, il sostegno deve essere sistemico e coinvolgere tutti gli attori educativi, con un autentico desiderio di mettersi in discussione e affrontare un percorso di cambiamento».

Le politiche attuali aiutano i giovani?

«Il tema dell’adolescenza fragile emerge solo in occasione di gravi fatti di cronaca. Nella quotidianità, invece, il disagio giovanile viene ignorato o, peggio, trattato come un fastidio. Raramente nei programmi politici si trovano riferimenti alla prevenzione del disagio, al sostegno delle fragilità o alla creazione di proposte concrete per i ragazzi.
Tuttavia, non siamo soli: esistono amministratori locali attenti e sensibili, oltre a un forte mondo dell’associazionismo che, se coinvolto, può creare reti di sostegno efficaci e promuovere un vero cambiamento» dichiara Feder.

Il disagio non ha nazionalità né confini

Tuttavia, i giovani stranieri si trovano spesso a dover affrontare ulteriori difficoltà, legate alla lingua, alla cultura e a una vera integrazione che oggi appare ancora estremamente complessa.

Cercare di dare un senso alla vita

«Sempre più ragazzi, anche non definiti “problematici”, chiedono aiuto per dare un senso alla propria vita -chiosa Feder- Sono insoddisfatti di ciò che li circonda e cercano risposte. Sono come i “canarini nella miniera“, che ci segnalano un ambiente tossico, incapace di offrire loro l’ossigeno necessario per crescere e trovare motivazioni. Per questo, è fondamentale proporre loro esperienze significative, come il volontariato, che possano far emergere un’alternativa concreta. Ma non basta offrirle: bisogna esserci anche nel lungo periodo, sostenendoli nelle difficoltà quotidiane, insomma impegnarsi ed essere determinati».

I giovani credono in una società inclusiva

«In realtà, i giovani hanno più fiducia degli adulti nella possibilità di costruire una società inclusiva. Sono loro i primi a credere in un mondo dove tutti possano trovare il proprio posto. Tuttavia, il rischio è che, senza il giusto supporto, il loro entusiasmo venga soffocato dall’indifferenza e dalla rassegnazione del mondo adulto», ci racconta Feder

Chi è il responsabile del disagio?

«Non si può identificare un solo colpevole. Ma è certo che l’indifferenza diffusa contribuisce a far dilagare il disagio. Questo atteggiamento si manifesta nel non voler vedere, nel non intervenire e nel restare legati a vecchi schemi educativi che oggi non funzionano più -asserisce Simone Feder- È un problema che riguarda ogni ambito: famiglia, scuola, sanità, politica, parrocchie e gruppi informali».

Alice e le regole del bosco

Il libro scritto da Simone Feder nel 2020, edito da Mondadori nella collana Strade Blu. La storia raccontata in questo libro è vera e nasce dall’incontro che ha cambiato la vita di Alice, quello con Simone, che l’ha aiutata a disintossicarsi. L’incontro ha poi dato vita a un’autobiografia corale, che presta la voce a chi troppo spesso è giudicato, allontanato ed emarginato solo perché diverso, scomodo, inquietante solo perché magari è semplicemente non pulito. È una storia scritta con la consapevolezza che solo una relazione autenticamente umana può colmare la voragine che occupa il cuore e la mente di questi ragazzi, e ridare un senso e una direzione alle loro vite spezzate.

Qual è l’aspetto più bello di questa esperienza?

«L’esperienza di Rogoredo ci insegna che il cambiamento parte da un nuovo approccio: bisogna andare incontro al disagio e riconoscere che ogni persona può essere una risorsa. Il semplice assistenzialismo non basta più: i giovani non vogliono solo sopravvivere, ma trovare motivazioni per vivere e sentirsi parte di qualcosa di significativo. Sono stati proprio loro a indicarci la strada. Ogni mercoledì sera, quando ci ritroviamo a Rogoredo, ci ricordano quanto sia importante esserci, condividere le fatiche e costruire insieme un cambiamento collettivo», conclude lo psicologo Feder

Riflessione

Per istinto retorico scriverei che Simone Feder è una mosca bianca nella nostra società. Però, pur apprezzando e stimando il suo lavoro, non voglio credere che sia l’unico a fare così tanto per chi vive il disagio della vita, la fatica di comprenderla e a cui manca il coraggio di affrontarla. Il cuore si fa piccolo davanti al dolore delle famiglie che si colpevolizzano o davanti a quei ragazzi troppo magri e troppo ripiegati su loro stessi per un peso che non possono portare da soli su quelle fragili spalle, consumate dalla droga e dalla fatica della vita. Non è solo Feder a credere con energia e determinazione nella costruzione del cambiamento, come lui ricordiamo Don Luigi Ciotti e don Mazzi e quelle tante realtà nel mondo dell’associazionismo che si fanno in quattro per aiutare gli ultimi di questa società. Ci vuole impegno per aiutare il prossimo ma ci vuole uno sguardo che superi l’orizzonte.

Grazie Simone!

 

 

Moira Perruso
Moira Perruso
Giornalista professionista da oltre 30 anni. Nasco come fotoreporter di cronaca. Un lavoro che mi ha permesso di mettere in fila, su una linea orizzontale immaginifica, occhio, testa e cuore, nel preciso momento dello scatto. Ho potuto vedere luoghi e avere dentro il mirino della mia Nikon volti e storie che mai potrò dimenticare. Solo più tardi all'immagine si è affiancata la scrittura. E' arrivata una notte, dopo il crollo di una palazzina a Milano. Il mancato arrivo del giornalista di una testata importante, che accompagnavo con le mie foto, mi ha reso improvvisamente protagonista. "Moira oltre la foto fai anche l'articolo?" Mi chiese il caporedattore di turno. "Ma cosa faccio? Non ho mai scritto?" E lui mi disse una cosa che illuminò la notte buia: "Scrivi quello che vedi". E così fu. Il mio battesimo arrivò davanti ad una palazzina crollata che si era portata via, sogni, progetti e pezzi di vita di numerose famiglie. Da quel giorno scrivo, racconto e rappresento la verità. Il mio motto è il primo dei dieci comandamenti della stampa di Piero Ottone: " Scrivi sempre la verità, tutta la verità, solo la verità"
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