Discriminazione, solitudine, vergogna, sono i sentimenti che accompagnano i giovani con MICI (malattie infiammatorie croniche intestinali) costretti a sopportare e gestire ogni giorno il peso della malattia. Una malattia che ha l’insorgenza sempre più precoce e che interessa in Italia oltre 250 mila pazienti. Il 25% dei quali ha un esordio in età pediatrica al di sotto dei sedici anni. Una condizione che grava su tutta la famiglia, in particolare sui genitori che assumono il ruolo di caregiver.
Morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa le MICI più diffuse
Le malattie infiammatorie intestinali si suddividono in due grandi gruppi: morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa. Il morbo di Crohn interessa tutto l’apparato digerente, mentre la rettocolite ulcerosa si manifesta nel colon e nel retto. A queste due malattie si aggiungono una infinità di varianti non determinate perché hanno alcuni aspetti relativi al Crohn, altri alla rettocolite ulcerosa e che rendono spesso più difficile la diagnosi. In ogni caso, quando si parla di malattie infiammatorie intestinali si riferisce di lesioni all’intestino che possono essere superficiali, ma anche molto profonde tanto da causare vere e proprie emorragie.
MICI, il disagio inizia a scuola
Secondo un recente sondaggio condotto dall’Associazione Amici Italia su un campione di 362 giovani pazienti MICI è emerso che un quarto di questi è stato, almeno una volta nella vita, vittima di bullismo a causa della propria patologia. Nel 60% dei casi per l’imbarazzo ad usare i bagni scolastici, di cui l’accesso incondizionato è garantito solo in un caso su due. Tra i disagi segnalati dai giovani affetti da malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa, anche la difficoltà di essere compresi dagli insegnati e di conciliare la malattia con l’attività scolastica.
Appello alle istituzioni
Alla luce di quanto emerso dalla voce dei ragazzi affetti da malattie infiammatorie intestinali, Amici Italia ha lanciato un appello al Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara; e al Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli affinché vengano adottate misure concrete per tutelare i diritti e il benessere degli studenti con malattie croniche. Tra le richieste avanzate da AMICI Italia
- la formazione degli insegnanti,
- piani educativi personalizzati,
- campagne contro il bullismo e
- sostegno psicologico e tutor per riuscire a conciliare scuola e gestione della malattia.
Come aiutare i giovani con MICI a crescere
In attesa di ottenere risposte concrete dalle Istituzioni, i ragazzi affetti da malattie infiammatorie intestinali e i loro caregiver devono fare i conti con una quotidianità che diventa sempre più difficile con il passare degli anni. In concomitanza con l’età dell’adolescenza poi, alla scuola si aggiunge una socialità da costruire, resa più difficile con una disabilità invisibile da portarsi dietro.
Per questo è importante affrontare la transizione dall’età pediatrica a quella adulta, affidandosi agli specialisti, come accade all’ambulatorio di gastroenterologia dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
A Bergamo il primo ambulatorio di transizione per le MICI
Si chiama ambulatorio di transizione perché accompagna i giovani adulti nel delicato passaggio dall’adolescenza all’età adulta in presenza di una malattia infiammatoria intestinale cronica. Un team di esperti ha in cura un centinaio di pazienti in età adolescenziale. Noi abbiamo incontrato le dottoresse: Naire Sansotta, pediatra; Stefania Orlando, gastroenterologa e Anna Caffi, psicologa. «La malattia può comparire in qualunque epoca della vita. In età pediatrica, generalmente, ci sono due picchi (uno tra gli 8 e 9 anni, l’altro intorno ai 13-14) – spiega la pediatra gastroenterologa Naire Sansotta -. Esiste poi una forma di esordio molto precoce, prima dei sei anni, che si chiama VEO very early onset IBD».
Perché un incremento delle MICI nei ragazzi?
«Fattori di rischio ambientali fanno si che oggi l’esordio delle malattie infiammatorie intestinali avvenga in età pediatrica – spiega Stefania Orlando, gastroenterologa -. Di sicuro poi queste patologie insorgono in chi ha una predisposizione genetica. Esistono anche altri fattori di rischio: alterazioni del microbiota intestinale che scatena l’infiammazione e in questo il ruolo della dieta è determinante. Un’alimentazione ricca di grassi saturi, additivi, zuccheri e alimenti ultra-processati favorisce l’insorgenza delle malattie croniche intestinali. Anche il fumo, compreso quello passivo, è un fattore di rischio, così come l’inquinamento atmosferico e l’esposizione agli antibiotici nel primo anno di vita che può portare ad una disbiosi».
Le novità terapeutiche
Lo studio dei meccanismi che determina l’infiammazione è importante anche per lo sviluppo della terapia e per l’individuazione dei farmaci in grado di bloccare i meccanismi dell’infiammazione. «L’obiettivo della terapia è spegnere l’infiammazione, rallentare il decorso della malattia e prevenire le complicanze – riprende Orlando -. Mentre in passato i farmaci erano limitati e la terapia si basava sull’impiego di cortisone, mesalazina e immunosoppressori, attualmente per il controllo di forme severe di malattia sono disponibili delle terapie avanzate con farmaci biologici con anticorpi monoclonali, oppure terapie orali con piccole molecole diretti a bloccare specifici meccanismi delle infiammazioni. In particolare, negli ultimi anni l’uso di farmaci è selettivo e le terapie personalizzate».
Lo psicologo in aiuto del giovane paziente MICI e del caregiver
Nel centro che accompagna i ragazzi attraverso la consapevolezza della malattia, la gestione del disturbo e l’accettazione della terapia, lo psicologo ha un ruolo essenziale. «Il primo step è spiegare la malattia al bambino – racconta Caffi -. L’allestimento di uno scenario comunicativo è differente e tiene conto dell’età del bambino, del contesto e delle risorse soggettive. Le risposte sono differenti, dalla negazione a richieste ossessive, fino a un comportamento regressivo per avere protezione dai genitori. Altri esprimono rabbia, dolore o tristezza. Il ruolo della famiglia, perciò, è fondamentale così come dei medici, per questo l’ambulatorio di transizione può diventare un luogo di contenimento e di risposta in funzione dei bisogni soggettivi del bambino e dei suoi famigliari». «C’è chi chiede e chi invece preferisce avere messaggi e informazioni di contorno. In genere il bambino piccolo prima dei 10-12 anni è completamente dipendente dalle cure dei genitori (caregiver), si affida ai medici e segue le indicazioni che riceve – aggiunge Sansotta -. L’adolescente invece risulta più smarrito e talvolta non è aderente alle terapie».
Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza fino alla maggiore età del paziente MICI
Il momento più delicato per il giovane paziente affetto da malattia infiammatoria intestinale è il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. «Intorno ai 17-18 anni si inizia a parlare di transizione e di autonomia con la famiglia e il ragazzo – sottolinea la pediatra -. Non è mai un passaggio radicale». «Il processo va costruito, deve avere come obiettivo finale un comportamento del ragazzo attivo e partecipato all’interno del percorso di cura – evidenzia la psicologa -. Come équipe multidisciplinari cerchiamo di fornire la elaborazione del vissuto personale in relazione alla malattia cronica e di promuovere la partecipazione attiva al percorso di cura, contrastando il sentimento di solitudine che accompagna i ragazzi e i familiari nella elaborazione della malattia».
Non aderenza alla terapia, segnale di ribellione
La principale difficoltà da affrontare e superare nella crescita di un giovane paziente è la ribellione che si esprime con una scarsa aderenza alla terapia. Il ruolo dello psicologo in quel frangente è essenziale. «Il nostro compito è di cercare una alleanza con il paziente, favorendo una rielaborazione del disturbo e una partecipazione attiva del giovane paziente che ora deve assumere un ruolo prioritario in quello spazio che prima era di competenza dei genitori – fa notare Caffi -. L’obiettivo dell’ambulatorio di transizione è proprio di contenere quel vuoto assistenziale a cui spesso vanno incontro i pazienti adolescenti che non riescono ancora a collocarsi nel sistema sanitario dell’adulto». Proprio in quella fase il team dell’ambulatorio di transizione ha un ruolo determinante, come tiene a precisare la gastroenterologa: «Il percorso prevede uno o più incontri tra specialisti e famiglia. Generalmente la transizione viene fatta quando la malattia è in remissione ed è un processo che va personalizzato. È fondamentale anche rassicurare il paziente perché una delle difficoltà è la paura di perdere la relazione con il pediatra e incontrare nuovi medici».
Come accedere al centro di transizione dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo
Per accedere al centro di transizione si può prenotare con il SSN la prima visita gastroenterologica. La prenotazione può essere fatta online o per via telefonica al numero verde regionale, o di persona allo sportello Cup dell’Ospedale. È importante che venga specificata la richiesta di vista gastroenterologica presso l’ambulatorio MICI dell’unità operativa della gastroenterologia 2.