domenica, Febbraio 16, 2025
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Giovani allo scontro. L’esperto: «Si tratta di disregolazione emotiva»

Il Prof. Gianluca Castelnuovo, Psicologo e psicoterapeuta Università Cattolica e IRCCS Auxologico analizza lo stato d'animo di giovani che cercano lo scontro in piazza con forze di polizia o bande rivali. «Non sanno gestire le emozioni. I genitori dovrebbero essere modelli di comportamento non tanto da dichiarare, quanto da incarnare e mostrare ai giovani»

dott. gianluca castelnuovo
Prof. Gianluca Castelnuovo, Psicologo, psicoterapeuta Università Cattolica di Milano e responsabile del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia e del relativo Laboratorio di Ricerca presso l’IRCCS Istituto Auxologico Italiano

Giovani in piazza alla continua ricerca di uno scontro: con le forze dell’ordine o con bande rivali. Che sia Capodanno o una manifestazione di solidarietà, oggi i giovani sembrano cercare ogni occasione di gruppo per esprimere rabbia e frustrazione. Un fenomeno crescente con un denominatore comune: l’esasperazione degli animi. Come mai? L’abbiamo chiesto a Gianluca Castelnuovo, Psicologo e Psicoterapeuta  professore ordinario di psicologia clinica all’Università Cattolica di Milano e responsabile del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia presso l’IRCCS Auxologico italiano.

Professore, come mai in occasione di festa gli animi dei giovani sembrano ancor più esasperati?

«Da studioso dei fenomeni scientifici non posso certo confermare la relazione causale fra “festività” e “aggressività”. Si tratta solo di una correlazione, cioè è più probabile che i giovani si ritrovino fra loro nei giorni di festa e quindi aumenti l’opportunità di incontri, ma anche di scontri. Se quindi le giornate di festa e vacanza generano maggiori occasioni di incontri sociali, alcune frustrazioni, difficoltà, disagi dei nostri giovani, se non ben gestiti, rischiano di esprimersi soprattutto in situazioni di gruppo. Dal mio punto di vista, più clinico, parlerei di problemi di disregolazione emotiva: ovvero incapacità di controllare le emozioni. E’ normale e fisiologico sentire delle emozioni anche negative, come poterne anche parlare, ma diventa patologico (e un problema psicosociale) esprimerle in maniera distruttiva verso le cose, gli altri o anche verso sé stessi (i fenomeni di autolesionismo sono infatti in aumento)».

Ceto sociale, famiglia, dove vanno ricercate le cause del malessere che opprime i giovani?

«Si tratta di fenomeni multifattoriali e complessi, difficilmente spiegabili con solo alcuni degli elementi in gioco. Certamente ceto e famiglia possono influire. In ambienti dove le possibilità di studio sono state maggiori, ad esempio, è più probabile (ma non certo!) sviluppare una certa consapevolezza della propria condizione psicofisica, soprattutto se vi è disagio, giungendo più facilmente a parlarne e confrontarsi con qualcuno. Inoltre, una certa condizione economica permette di avvalersi più facilmente di prestazioni specialistiche nell’ambito della salute mentale, ancora spesso limitate al privato e quindi non facilmente accessibili a tutti. Tali prestazioni, oltre a essere un ottimo elemento di cura, possono rappresentare anche un valido presidio preventivo, capace di intercettare e gestire problematiche all’esordio, prima che si cronicizzino».

Quale può essere il ruolo della famiglia per questi giovani?

«Anche la famiglia rappresenta una variabile importante in gioco.  Un ambiente familiare supportivo, aperto al dialogo, attento ai primi segnali di disagio dei figli, può aiutare».

Quale strategia può essere utile ai giovani?

«Dove è possibile, è importante che possano esprimere le proprie emozioni. Non farli sentire inferiori e deboli permette di superare il disagio, spesso connaturato alla fase di crescita dei giovani, senza giungere a esplodere in maniera distruttiva nelle piazze».

Gli adulti hanno delle responsabilità ?

«Certamente. Al mondo degli adulti si chiede di dare prima di tutto un buon esempio e questo spesso non accade. Più che di grandi discorsi e proclami, gli adulti dovrebbero “emozionare” i giovani, trasmettendo loro una gioia e soddisfazione per quello che riescono a fare e realizzare, tale da rappresentare un polo di attrazione per le future generazioni. Purtroppo, i fatti di cronaca trasmettono ai più giovani un senso di sfiducia verso gli adulti in molti ambiti, dove il culto del denaro e la difesa dei propri interessi personali sembra prevalere su tutto. Ricordiamoci dunque che da parte degli adulti i modelli di comportamento non si devono tanto dichiarare, quanto incarnare e mostrare ai giovani».

Mi faccia capire meglio…

«Ad esempio, se i genitori potessero mostrare quanto è soddisfacente investire in un progetto di vita che costa fatica e sacrificio, ma restituisce poi molto, sarebbe molto più educativo dei rimproveri ai figli che troppo spesso ricercano piaceri facili a breve termine».

È possibile porvi rimedio?

«Certamente, anche se è un lavoro faticoso e con molte ricadute».

In che modo?

«Il mondo degli adulti ha una grande responsabilità e cioè accompagnare i giovani ad affrontare le sfide della loro vita in crescita, evitando atteggiamenti iperprotettivi, ma permettendo loro di superare con le proprie forze e fatiche ostacoli che possono ritrovare nella loro vita. Ai genitori in particolare tocca il ruolo di coordinare, o almeno monitorare, le altre “agenzie educative” (altri genitori, insegnanti, educatori, allenatori, parrocchie, ecc.) che possono intercettare i giovani e dare spazi di elaborazione del loro disagio, trasformando malesseri, fisiologici in certe fasi della vita, in opportunità di crescita e progetti da condurre insieme, segnalando anche agli specialisti di intervenire ove necessario».

 

Federica Bosco
Federica Bosco
Direttore Responsabile di QuotidianodellaSalute.it. Giornalista professionista, con una lunga esperienza nella comunicazione scientifica, sanitaria e nel sociale. “Parlare è un bisogno, ascoltare un’arte” diceva Goethe e forte di questo pensiero a poco più di 20 anni durante gli studi universitari ho iniziato a maturare esperienza in alcune trasmissioni televisive per raccontare lo sport, andando a cercare storie di promesse e futuri campioni. Completati gli studi al master di giornalismo e pubbliche relazioni di Torino, ho iniziato a collaborare con il quotidiano “Stampa Sera”, per diventare qualche anno più tardi inviata per la testata giornalistica Video News, del gruppo Fininvest. Dal 1998 mi occupo di giornalismo di inchiesta. Tra il 2013 ed il 2015 ho condotto una trasmissione televisiva per Media system dedicata al terzo settore per poi virare nella comunicazione sanitaria e scientifica. Amo le sfide e per questo in trent’anni di carriera non mi sono mai fermata. Ho cercato sempre nuove avventure: televisive, radiofoniche, su carta stampata e, negli ultimi dieci anni sul digitale. Nel frattempo, ho pubblicato tre libri inchiesta: La Bambina di Bogotà (2015) tradotto anche in inglese, Sbirri Maledetti eroi (2019) tradotto in francese, tedesco e inglese e RaccontaMI (2021). Apprezzo la gentilezza e la sensibilità, valori che provo a trasmettere anche nel mio lavoro. Professionalità, precisione e rigore sono caratteristiche che mi contraddistinguono. Ho scritto un romanzo su una storia di adozione internazionale perché credo che l’amore non abbia confini... e i bambini siano il bene più prezioso della vita. Amo i miei figli. Adoro viaggiare e scoprire volti e storie da raccontare. Ho fatto atletica per dieci anni a livello agonistico, amo lo sprint, la competizione e il gioco di squadra tre valori che mi ha trasmesso lo sport e che ho fatto miei. Vorrei riuscire a guidare una squadra vincente in grado di scalare una montagna e una volta arrivata in cima capace di pensare di essere solo a metà del percorso.
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