lunedì, Gennaio 13, 2025
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Gentilezza. Il Bello che c’è!

Vivere intenzionalmente, ascoltare meno ciò che accade fuori e ascoltare la bellezza che parla dentro. Cosa vuol dire essere gentile?

Gentilezza. Il Bello che c’è, il nostro appuntamento domenicale, si cimenta nella voglia di gentilezza. Oggi ne parlo con la dottoressa Barbara Reverberi, Mentore Gentile, che, grazie all’arte della gentilezza, ha rivoluzionato la sua vita e oggi accompagna le persone nella loro trasFormazione. 

Chi è il Mentore Gentile

«Essere un mentore gentile significa essere un faro di luce per gli altri, accompagnare le persone in un viaggio dentro di loro, nel rispetto dei loro tempi e senza giudizio, alla scoperta delle loro risorse – spiega Reverberi – Questa definizione mi è arrivata dai miei mentee, sono le persone che seguo, i miei clienti, e che hanno riscontrato nella mia modalità di approccio durante le sessioni di coaching una particolare attenzione e cura alle loro caratteristiche. Essere Mentore Gentile per me significa quindi, fare tutto ciò che è possibile per creare, insieme alle persone che incontro, la migliore trasformazione possibile in quella fase della loro vita, cioè quando si rivolgono a me».

Che cosa significa essere gentili

«Essere gentili non significa essere deboli, ma piuttosto forti abbastanza da mostrare empatia e compassione verso gli altri. Un Mentore Gentile incoraggia a scoprire la propria strada, offrendo domande che fanno emergere nuove soluzioni possibili. O forse, semplicemente, altre domande. Nessuna ricetta, nessuna bacchetta magica. Piuttosto un supporto paziente che con umiltà e cuore aperto aiuta a cambiare il filtro degli occhiali per scoprire la bellezza della vita».

Si può essere davvero gentili?

Oggi sembra che la gentilezza non circoli tra gli esseri umani, anche su questo quotidiano abbiamo parlato spesso, ad esempio, della violenza sugli operatori sociosanitari. Le cronache dei giornali ci segnalano forme di gravi di intolleranza, psicosi e razzismo. Nel mondo sono attivi 56 conflitti, il numero più alto mai registrato dalla fine della Seconda guerra mondiale

«Si può essere davvero gentili. Questo avverbio è fondamentale – continua Barbara Reverberi – Essere gentili non è una forma di cortesia, di facciata. Essere gentili significa fare proprio uno stile di vita e portarlo nella quotidianità. Significa avere il coraggio di lasciare andare, comprendere quanto sia poco importante avere per forza ragione e scegliere la via che ci fa stare meglio. Scegliere, non decidere. La scelta è un processo, la decisione è una selezione tra diverse opzioni». 

Quando sei gentile con gli altri, lo sei anche con te stesso?

Quando si parla di gentilezza, spesso ci concentriamo sul modo in cui trattiamo gli altri. «La gentilezza non va confusa con una formalità per esser educati. Il livello qui è decisamente più profondo e diventa uno stile di vita, un’opzione che possiamo percorrere quando diventiamo più consapevoli. Quando siamo gentili con gli altri, ci sentiamo bene, ma quando siamo gentili con noi stessi, la nostra felicità e la nostra autostima crescono. Essere gentili con se stessi significa prendersi cura del proprio tempo, della propria salute psicofisica e credere in se stessi con fiducia. Sappiamo ascoltare i nostri bisogni? E rispettare i nostri limiti? Essere gentili verso noi stessi è anche perdonarsi per gli errori commessi, sospendendo il giudizio. Quando impariamo ad essere gentili con noi stessi, diventiamo anche più abili nell’essere gentili con gli altri, creando un circolo virtuoso di benessere e armonia».

Cosa intendi quando parli di gentile fermezza?

«Mi piace parlare di gentile fermezza, perché richiede un esercizio costante della propria volontà nella consapevolezza del proprio valore. Mica facile! Si allena giorno per giorno per tutta la vita, con cadute e scivoloni. Anche quando qualcuno ci taglia la strada in auto o ci manca di rispetto in coda. Si scelgono le parole per esternare il proprio disappunto e si rimane fermi nella propria posizione. È difficile, è impegnativo ma fa sentire sempre meglio».

In questo tempo si può essere gentile?

«Per essere gentili nel tempo che stiamo vivendo è importante aver lavorato prima su se stessi e aver abbandonato il giudizio. Provate a osservarvi per qualche giorno: quanto siamo portati a classificare! Essere gentili oggi vuol dire lasciare spazio all’Altro entro il confine della Libertà di ciascuno».

Ci vuole coraggio o incoscienza ad esserlo?

«Ho un po’ anticipato nella risposta precedente questa domanda, potrei aggiungere che è prevalentemente una una forma di impegno e di coraggio più che di incoscienza. La gentilezza incosciente è una gentilezza di forma, quella che deriva dall’educazione. La vera gentilezza è la manifestazione del proprio contenuto, del proprio valore di persona, della gioia di conoscersi e di voler donare all’altro nel rispetto reciproco. In generale potremo parlare più di scarsa consapevolezza. Esercitare la gentilezza richiede sforzo e sacrificio. Non è una brutta parola, al contrario vuol dire “rendere sacro”: dare a quel gesto valore e importanza. Per questo posso scegliere di lasciare andare».

La malattia può comportare il cambiamento?

«La malattia può essere una motivazione per il cambiamento. Nel senso che è in quel principio di cambiamento che la persona comincia a essere consapevole delle lezioni che sta imparando attraverso la malattia. Allora la malattia è una straordinaria risorsa. Tra i miei mentee ho incontrato persone che hanno superato la malattia. Sono persone più forti. Quelle più gentili sono quelle che hanno vissuto intensamente e hanno trovato un significato nel loro percorso di vita. Certo, per affrontare la malattia è importante ricevere supporto, quel genere di supporto che spesso ci offre un nuovo punto di vista, più ampio, che va oltre l’ordinario». 

Il Ministero della Solitudine in UK

Qualche anno fa in Gran Bretagna è stato nominato il Ministro per la Solitudine. Il primo al mondo. Una scelta dettata dall’avere un numero molto alto di popolazione anziana e di persone che vivono e muoiono in solitudine. «Nella solitudine può cominciare dentro di noi un dialogo interiore che ci porta a sentirci vittime – chiosa Reverberi – Un sostegno esterno ci può aiutare a considerare una serie di scenari che altrimenti ci sarebbero rimasti preclusi. Si passa quindi dal sentirsi vittima al sentirsi responsabile delle proprie scelte». 

Cos’è il Tempo Gentile?

«E la magia del cambiamento, che è l’essenza della vita, è che quando ci sentiamo responsabili del nostro cammino riusciamo davvero a impegnarci per migliorare passo dopo passo. Questo processo richiede quello che ho chiamato un Tempo Gentile»

Quanto influisce la gentilezza sulla longevità

Le Blue Zones sono aree in cui le persone che le abitano sono straordinariamente longeve e hanno tanto da insegnare. Le Blues Zones rappresentano delle porzioni del nostro pianeta, a particolari latitudini, in cui le persone hanno una vita più lunga dalla qualità straordinaria. Sono state individuate per la prima volta da Dan Buettner, un esploratore del National Geographic giornalista e anche produttore pluripremiato e autore di bestseller del New York Times. Butler ha scoperto i cinque luoghi del mondo in cui le persone vivono più a lungo e in salute. 

A determinare questa condizione sono:

  • una buona alimentazione, 
  • il sonno adeguato e di qualità
  • il movimento
  • appartenere alla comunità e sentirsi utili
  • amare il prossimo. 

«È in quest’ultimo punto che la gentilezza gioca un ruolo importante: per avere relazioni di qualità occorre mettersi in gioco e aprirsi all’altro. Ecco perché il sorriso, il gesto di cura verso chi ci è accanto, l’attenzione al benessere degli altri e non solo al nostro, il desiderio di far sentire gli altri a proprio agio, proteggere la bellezza che ci circonda e averne rispetto diventano le basi della gentilezza come stile di vita. La gentilezza anche da un punto di vista biologico alimenta uno stato d’animo proattivo, dinamico e flessibile, che favorisce la produzione di pensieri positivi e ci fa vibrare a frequenze più elevate, conservandoci in salute».

Un Mentore Gentile come può aiutare sul lavoro?

«Aiuta a conoscerti meglio, a entrare in contatto con la tua energia per capire come valorizzare le tue risorse e metterle davvero a frutto. Accompagna a cambiare la relazione con il tempo, per fartelo amico e raggiungere i risultati che desideri. Può disegnare un percorso per migliorare il clima aziendale nell’organizzazione della persona partendo dalla gentilezza e sollecitando la partecipazione attiva attraverso la facilitazione maieutica e le Liberating Structures. Il Mentore Gentile può ideare un percorso di attivazione delle soft skills per favorire la leadership gentile nelle linee dell’azienda in cui si lavora».

Il Qi Gong è un’arte gentile di lunga vita, lo consiglia ai nostri lettori?

«Il Qi Gong, nell’alveo della medicina tradizionale cinese, è un approccio gentile alla vita che prende spunto dall’osservazione della natura. È considerata una pratica millenaria di lunga vita che favorisce lo studio e la costruzione del Qi, l’energia universale e vitale che attraversa noi e l’universo. La salute è considerata una condizione di armonia degli elementi – acqua, legno, fuoco, terra, metallo – associati ai diversi organi, tra cielo (yang) e terra (yin). È una combinazione di movimento, respirazione e meditazione e consente di rivolgere uno sguardo dentro se stessi per ritrovare un ascolto profondo del nostro corpo. In questo senso il QiGong permette di porre le fondamenta di un approccio più gentile verso noi stessi, gli altri e la vita».

Uomo unione di corpo, mente e spirito

«Nella tradizione taoista, alla base della medicina tradizionale cinese e del Qi Gong, l’uomo viene visto nella sua interezza, come unione di corpo, mente e spirito. Dalla calma e dalla consapevolezza degli spostamenti dell’energia nei diversi canali del corpo, deriva quella maggiore consapevolezza di noi stessi che ci permette di avere anche un maggior controllo sugli impulsi e sul nostro benessere. Semplificando per amore della comprensione, potremmo dire che il QiGong è una via per conoscere e vivere la gentilezza», conclude Barbara Reverberi 

Il tempo gentile, libro

L’ultimo libro di Barbara Reverberi, ‘C’è tutto il tempo quando sei gentile’, è un invito gentile a riscoprire il valore del Tempo e a dire “sì” alle nostre esigenze. Per ritrovare una relazione più amorevole con noi stessi e aggiungere valore a quella con gli altri. Un porto sicuro per ristorarci, un rifugio di calma e ispirazione in un mondo frenetico, per trovare la giusta rotta nelle tempeste della vita quotidiana. Attraverso esercizi pratici e riflessioni profonde, il libro ci ispira a riprendere il controllo della nostra vita, per curare i giardini dell’anima e creare spazi per la guarigione, la crescita e la felicità.

Per chi volesse fare di più

Domani, lunedì 7 ottobre alle 18,45, è in partenza presso il Centro Arymo di Bussero un corso di ‘QiGong per stare bene’, condotto da Barbara Reverberi, Mentore Gentile. Per ricevere aggiornamenti sullìattività come speaker e facilitatrice, seguite gratuitamente la newsletter su Substack.

Oggi non voglio solo stimolarvi una rilfessione, oggi voglio dirvi che dopo aver intervistato Barbara Reverberi ho capito che la gentilezza è contagiosa e crea un circolo virtuoso di benessere e felicità.

Ecco alcune best practice

  • sorridere
  • prendersi cura di se stessi, dedicando del tempo ogni giorno a ciò che ci fa stare bene, che ci dona energia. Che sia una passeggiata all’aria aperta o un hobby che ci appassiona o l’incontro con un amico, mettiamoci questo tempo in agenda, fissiamo un appuntamento dedicato a noi. 
  • Imparare a dire di no alle cose che non ci interessano o che non sono prioritarie per noi, nel rispetto degli altri, è un’arte. La si affina col tempo e allenandoci ampliando il nostro vocabolario delle parole gentili.
  • Avere più spazio per le attività che ci piacciono davvero, porta gioia ed energia nelle nostre giornate e migliora la nostra relazione con il tempo e con gli altri.
moiraperruso
moiraperruso
Giornalista professionista da oltre 30 anni. Nasco come fotoreporter di cronaca. Un lavoro che mi ha permesso di mettere in fila, su una linea orizzontale immaginifica, occhio, testa e cuore, nel preciso momento dello scatto. Ho potuto vedere luoghi e avere dentro il mirino della mia Nikon volti e storie che mai potrò dimenticare. Solo più tardi all'immagine si è affiancata la scrittura. E' arrivata una notte, dopo il crollo di una palazzina a Milano. Il mancato arrivo del giornalista di una testata importante, che accompagnavo con le mie foto, mi ha reso improvvisamente protagonista. "Moira oltre la foto fai anche l'articolo?" Mi chiese il caporedattore di turno. "Ma cosa faccio? Non ho mai scritto?" E lui mi disse una cosa che illuminò la notte buia: "Scrivi quello che vedi". E così fu. Il mio battesimo arrivò davanti ad una palazzina crollata che si era portata via, sogni, progetti e pezzi di vita di numerose famiglie. Da quel giorno scrivo, racconto e rappresento la verità. Il mio motto è il primo dei dieci comandamenti della stampa di Piero Ottone: " Scrivi sempre la verità, tutta la verità, solo la verità"
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