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Fondazione Ronald McDonald: da 25 anni è Family Centered Care

In occasione dei suoi 25 anni, Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald presenta oggi alla Camera dei deputati il modello Family Centered Care sempre più ampio ed inclusivo: più spazi comuni, smartworking e attenzione verso i genitori di bambini gravemente malati e di adolescenti con disturbi alimentari provenienti da altre città

Cresce la squadra di Fondazione Ronald McDonald da 25 anni vicina alle famiglie di bambini gravemente malati e nati prematuri che provengono da altre città. Da poche settimane, infatti, sono iniziati i lavori per realizzare una seconda casa all’interno dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda e raddoppiare così l’accoglienza per i genitori dei bambini in cura in pediatria o terapia intensiva prenatale provenienti da altre regioni. Un progetto ambizioso (300 mq che si aggiungono ai 300 mq già esistenti e operativi dal 2020) per ampliare ancor più l’offerta abitativa della Fondazione con radici americane presente in 62 paesi del mondo e attiva in Italia oltre che al Niguarda di Milano, a Bologna, Firenze, Roma, Alessandria, Brescia. Ne parliamo con Maria Chiara Roti direttore generale di Fondazione per l’infanzia Ronald McDonald Italia ETS.

Maria Chiara Roti Fondazione Ronald McDonald
Maria Chiara Roti, direttore generale di Fondazione per l’infanzia Ronald McDonald Italia ETS

Qual è il modello di accoglienza vincente promosso da Fondazione Ronald McDonald?

«In Italia si spostano circa 800 mila persone da una regione all’altra per cura o per una seconda opinione. La maggior parte sono accompagnati da un famigliare o caregiver. Come Fondazione Ronald McDonald noi rispondiamo al fabbisogno abitativo delle famiglie con minori in mobilità sanitaria che sono circa 80 mila».

Dove trovano alloggio le famiglie presso Fondazione Ronald McDonald?

«Le famiglie possono essere accolte secondo due modalità: Casa Ronald e Family Room».

Che differenze ci sono tra le due tipologie di alloggio?

«Casa Ronald è una abitazione indipendente, si trova entro un raggio di 4 km dall’ospedale di pertinenza ed è divisa in camere o appartamenti dove i nuclei familiari trovano alloggio. La family room invece è un appartamento all’interno dell’ospedale. I reparti di riferimento in questo caso sono due: la pediatria e la terapia intensiva neonatale con particolare attenzione per quest’ultima. Per una ragione ben precisa: perché quando un bambino nasce prematuro ed è in terapia intensiva la mamma ha solo una poltrona a disposizione quindi noi fungiamo da unico alloggio per la famiglia mentre sulla pediatria siamo secondari rispetto al posto letto che già è presente in reparto come obbligo di legge, perché fa parte dei LEA».

Ogni casa quante famiglie può ospitare?

«La casa può ospitare dalle 5 famiglie di Bologna fino alle 33 di Roma. Ogni famiglia ha una camera con bagno privato, a Brescia ci sono addirittura degli appartamenti, ma il focus del progetto è la cura dello spazio comune secondo il concetto di Family Centered Care».

Di cosa si tratta?

«La nostra attenzione è rivolta principalmente agli spazi comuni che sono la leva e l’acceleratore delle relazioni sociali e con gli educatori. In particolare, abbiamo molta cura nel realizzare la cucina e il living perché cucinare e mangiare insieme riattiva la convivialità, mentre nelle ultime strutture è presente anche la stanza dello smartworking per garantire ai genitori la continuità lavorativa».

Come arrivano le famiglie a Fondazione Ronald McDonald?

«La fondazione attiva una convenzione con l’ospedale che attraverso l’assistente sociale, indirizza poi la famiglia a casa Ronald».

La presa in carico della famiglia da parte dell’assistente sociale è legata a dei criteri?

«Un colloquio definisce un punteggio in base a tre criteri: la patologia del bambino, la geografia (distanza dall’abitazione) e le condizioni socio ambientali. Quindi usciamo dal concetto di reddito, ma entriamo in un concetto più ampio ed elastico che è la comprensione socio ambientale del gruppo familiare che tiene conto dei soggetti presenti (nonni e fratelli e del lavoro dei genitori). In questo modo l’ospedale misura la capacità di relazione della famiglia. Il punto numero 3 è fondamentale perché quando il bambino si ammala di tumore o di leucemia e necessita di cure o di un trapianto tutta la famiglia viene travolta e subisce un impoverimento che a cascata ricade su tutti i soggetti. Secondo le nostre stime una famiglia che si muove per motivi sanitarie per la malattia di un figlio, ha una spesa tra i 5 e i 10 mila euro l’anno. Ecco che garantire la continuità lavorativa dei genitori con lo smartworking è fondamentale».

Quali caratteristiche avrà la nuova Casa Ronald di Niguarda?

«La struttura in costruzione avrà la stanza dello smartworking, la sala silenzio, la lavanderia e nella cucina una zona nevralgica. Infatti, sono previste delle aree da pranzo riservate per agevolare l’incontro tra genitori e pazienti con disturbi alimentari in un momento delicato come il pasto».

Come si sostiene il progetto delle case Ronald?

«Il nostro principale sponsor è McDonald che destina alla Fondazione una percentuale dello 0,1% dei proventi dei Ristoranti italiani aderenti all’iniziativa. Abbiamo poi attivato il 5 per mille e partecipiamo ai bandi regionali. Le famiglie invece fanno una donazione, se lo ritengono, a fine soggiorno».

 

Federica Bosco
Federica Bosco
Direttore Responsabile di QuotidianodellaSalute.it. Giornalista professionista, con una lunga esperienza nella comunicazione scientifica, sanitaria e nel sociale. “Parlare è un bisogno, ascoltare un’arte” diceva Goethe e forte di questo pensiero a poco più di 20 anni durante gli studi universitari ho iniziato a maturare esperienza in alcune trasmissioni televisive per raccontare lo sport, andando a cercare storie di promesse e futuri campioni. Completati gli studi al master di giornalismo e pubbliche relazioni di Torino, ho iniziato a collaborare con il quotidiano “Stampa Sera”, per diventare qualche anno più tardi inviata per la testata giornalistica Video News, del gruppo Fininvest. Dal 1998 mi occupo di giornalismo di inchiesta. Tra il 2013 ed il 2015 ho condotto una trasmissione televisiva per Media system dedicata al terzo settore per poi virare nella comunicazione sanitaria e scientifica. Amo le sfide e per questo in trent’anni di carriera non mi sono mai fermata. Ho cercato sempre nuove avventure: televisive, radiofoniche, su carta stampata e, negli ultimi dieci anni sul digitale. Nel frattempo, ho pubblicato tre libri inchiesta: La Bambina di Bogotà (2015) tradotto anche in inglese, Sbirri Maledetti eroi (2019) tradotto in francese, tedesco e inglese e RaccontaMI (2021). Apprezzo la gentilezza e la sensibilità, valori che provo a trasmettere anche nel mio lavoro. Professionalità, precisione e rigore sono caratteristiche che mi contraddistinguono. Ho scritto un romanzo su una storia di adozione internazionale perché credo che l’amore non abbia confini... e i bambini siano il bene più prezioso della vita. Amo i miei figli. Adoro viaggiare e scoprire volti e storie da raccontare. Ho fatto atletica per dieci anni a livello agonistico, amo lo sprint, la competizione e il gioco di squadra tre valori che mi ha trasmesso lo sport e che ho fatto miei. Vorrei riuscire a guidare una squadra vincente in grado di scalare una montagna e una volta arrivata in cima capace di pensare di essere solo a metà del percorso.
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