Il futuro della fertilità, sia naturale che assistita, si gioca sempre più sul terreno della prevenzione. E al centro di questa strategia preventiva c’è un alleato potente e spesso sottovalutato: l’alimentazione. È questo il messaggio forte emerso dal Congresso Nazionale della Società Italiana di Riproduzione Umana (SIRU), che si è appena concluso a Verona, dove esperti da tutta Italia hanno discusso il legame tra nutrizione, autoimmunità e fertilità.
Perché una dieta personalizzata e antinfiammatoria migliora fertilità e percorsi PMA
Le evidenze scientifiche presentate al congresso parlano chiaro: una dieta personalizzata e antinfiammatoria può migliorare significativamente le probabilità di successo nella ricerca di una gravidanza, anche nei percorsi di procreazione medicalmente assistita (PMA). Particolarmente rilevante è il ruolo dell’alimentazione nelle donne affette da malattie autoimmuni, un gruppo in crescita anche tra le giovani in età fertile. «Disfunzioni come la tiroidite di Hashimoto, la celiachia, il lupus o le malattie infiammatorie intestinali – ha spiegato la Dottoressa Veronica Corsetti, ricercatore CNR – compromettono l’ovulazione, la qualità ovocitaria e la recettività endometriale. In questi casi, la dieta non è solo supporto: è cura».
Nutrizione: una terapia preventiva per la fertilità
Diverse ricerche presentate al congresso dimostrano che una dieta ricca di micronutrienti, acidi grassi omega-3 e povera di zuccheri e alimenti proinfiammatori aiuta a modulare le risposte immunitarie e infiammatorie, migliorando l’ambiente riproduttivo. In particolare, l’adesione al modello mediterraneo è stata associata a un incremento del 40% delle possibilità di gravidanza dopo fecondazione in vitro. «Una dieta di alta qualità seguita nei sei mesi precedenti la PMA può triplicare le possibilità di gravidanza a termine nelle donne sotto i 35 anni – è stato evidenziato durante i lavori congressuali – sottolineando come anche piccoli cambiamenti alimentari, se tempestivi, possano produrre effetti sorprendenti».
La dieta chetogenica: una nuova arma per le pazienti con PCOS
Tra gli approcci più discussi, anche la dieta chetogenica, in particolare per le pazienti affette da sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), insulino-resistenza o obesità. Questa dieta, povera di carboidrati e ricca di grassi buoni, favorisce la perdita di peso e migliora la sensibilità insulinica, elementi chiave per l’ovulazione spontanea e la qualità ovocitaria. I dati clinici mostrano risultati significativi: donne obese che hanno seguito per 12 settimane una dieta low-carb prima della PMA hanno registrato un tasso di gravidanza del 48% contro il 14% del gruppo di controllo. Anche il numero di nati vivi è risultato triplicato.
Una rivoluzione culturale in medicina della riproduzione
«L’alimentazione non deve più essere considerata un consiglio accessorio – ha concluso il Dottor Antonino Guglielmino, fondatore della SIRU – ma una componente centrale e scientificamente fondata della medicina preventiva e predittiva». Il Congresso SIRU ha dunque lanciato un messaggio chiaro: la fertilità si costruisce prima, e la tavola può diventare il primo ambulatorio per la salute riproduttiva. Un cambiamento di paradigma che valorizza il ruolo del paziente come protagonista attivo nel proprio percorso di cura, e sottolinea come la prevenzione, anche in medicina della riproduzione, sia la chiave per risultati più efficaci, sostenibili e personalizzati.