sabato, Gennaio 18, 2025
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Epidermolisi bollosa, i bambini farfalla chiedono aiuto

In Italia la Rete EBINet promuove progetti di ricerca locali per un protocollo nazionale con un piano terapeutico, e per cercare di diffondere informazioni su tutto il territorio, anche dove non ci sono centri di riferimento

Li chiamano bambini farfalla perché hanno la pelle estremamente fragile al punto da frantumarsi al contatto o  formare delle bolle con minimi traumi. In Italia un bambino su 82 mila nasce con una forma di epidermolisi bollosa. Una malattia altamente invalidante che impatta su tutta la famiglia da un punto di vista fisico, emotivo ed economico. Per questo è importante che debbano essere seguiti oltre che da specialisti anche da psicologi così che possano avere strumenti adeguati per diventare adulti consapevoli e raggiungano l’obiettivo di autosufficienza. Proprio la necessità di avere cure mirate e di agevolazioni per pazienti e caregiver rappresenta la costante battaglia delle associazioni.

Cos’è l’epidermolisi bollosa

L’epidermolisi bollosa (EB) è una malattia genetica rara della cute che racchiude in sé diverse tipologie di geno dermatosi. È caratterizzata da pelle estremamente fragile e da bolle che si formano da frizioni o traumi anche minimi. La pelle è composta da due strati: l’epidermide, più esterno, e il derma più interno. Questi due strati sono collegati da giunzioni dermoepidermiche che garantiscono, con elevato numero di filamenti di ancoraggio, un legame sicuro. Nei bambini affetti da epidermolisi bollosa alcuni errori genetici fanno sì che manchino le proteine dedite all’aderenza tra epidermide e derma: il collagene, la laminina, le cheratine, le integrine. Di conseguenza qualsiasi azione generante attrito tra i due strati, come sfregamento e pressione, causa vesciche o piaghe dolorose simili a ustioni di terzo grado.

I geni responsabili dell’epidermolisi bollosa

Recenti studi hanno dimostrato che sono tredici i geni responsabili dell’epidermolisi bollosa. Le forme principali sono: semplice o epidermolitica, giunzionale e distrofica o dermolitica. A livello mondiale un bambino ogni 17 mila nasce con questa patologia; mentre in Italia viene colpito un bambino ogni 82 mila, per un totale di 1500 bambini farfalla, o bambini dalla pelle di cristallo come sono definiti in Sud America.

La diagnosi

Per formulare una diagnosi di Epidermolisi Bollosa si effettua prima di tutto un’anamnesi familiare e personale; dopodiché si effettuano esami di laboratorio che prevedono biopsia cutanea e test genetici molecolari. Nelle coppie dove è stato riscontrato un difetto genetico alla base della epidermolisi bollosa, è possibile fare una diagnosi prenatale durante la gravidanza. Il momento più critico per il paziente è il passaggio da bambino a adolescente. Per agevolare la transizione è bene consultare uno staff medico con uno psicologo.

La fase più critica della epidermolisi bollosa

La fase più critica da superare per un bambino che vive con queste costanti ferite è il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. «La gestione della malattia  e la somministrazione della cura oggi è a carico esclusivamente della famiglia – ha sottolineato Cinzia Pilo, Presidente dell’associazione Debra Italia ETS e Fondazione REB ETS durante il convegno nazionale che si è tenuto nei mesi scorsi a Roma -. Tanto è vero che questa malattia oltre ad essere carente nei trattamenti, ha un impatto sociale devastante. I genitori devono trasformarsi in infermieri e dedicarsi alle cure dei figli. Per questo motivo spesso le famiglie si sfasciano o uno dei genitori è costretto a lasciare il lavoro per questo motivo».

Come gestire un bambino farfalla

Alla nascita poi occorre attivare una serie di precauzioni: il cordone ombelicale deve essere chiuso con una benda e non con la pinza. Il bambino con epidermolisi bollosa deve essere adagiato su un materasso soffice utilizzato anche per spostarlo. Meglio non prenderlo in braccio o sollevarlo dalle ascelle, ma ruotarlo sul fianco posizionando le mani dietro la nuca e sotto i glutei. Sfregamenti e graffi causano la formazione di vesciche e lo scollamento della pelle. Evitare l’uso di bracciali in plastica ed evitare i cerotti adesivi, ma ricorrere alle strisce di Mepitel o Mepiform per immobilizzare le cannule. Incoraggiare l’allattamento al seno ed evitare l’uso del succhiotto. Per proteggere la pelle dopo il bagno utilizzare una carta trasparente per avvolgere gli alimenti. Anche i vestiti se hanno cuciture interne devono essere girati, per mantenere le cuciture esterne.

Continue medicazioni

Le numerose medicazioni quotidiane a cui devono sottoporsi i pazienti con epidermolisi bollosa, gravano pesantemente sulle famiglie. «La povertà è anche un’altra delle caratteristiche – ha tenuto a precisare Pilo- aggravata dal fatto di dover spesso acquistare anche i presidi necessari per la malattia. E questo con una ingiustificabile disparità fra nord e sud Italia, fra le regioni che, ad esempio, vede gli extra Lea non rimborsabili in regioni del sud Italia. È quindi una situazione gravissima che impatta sugli aspetti non solo fisici ma anche psicosociali delle famiglie dei pazienti».

Le speranze in un farmaco

A tenere viva la speranza dei pazienti con epidermolisi bollosa è la ricerca con un nuovo  farmaco in grado di accelerare la cicatrizzazione di un’ulcera. La nuova opzione terapeutica riguarda un farmaco topico a base di triterpeni di betulla. «Si tratta di un prodotto in grado di accelerare la guarigione di ulcere che, se croniche, possono  contribuire allo sviluppo di carcinomi o portare ad importanti infezioni – ha aggiunto May El Hachem, responsabile dell’U.O.C. di Dermatologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma -. Certo non risolve tutti i problemi, ma dà una risposta importante in tema di cicatrizzazione perché curare questa malattia significa non solo curare il fisico, ma anche l’anima di questi pazienti al fine di renderli più indipendenti, capaci di avere una vita sociale, di frequentare la scuola, di avere un lavoro».

Le criticità da superare

A rendere ancora poco accessibile questa strada terapeutica è però la sola rimborsabilità del farmaco per l’epidermolisi bollosa distrofica recessiva. Un limite che le associazioni vogliono superare. «Debra Italia e Fondazione REB – ha denunciato Pilo – lottano affinché il farmaco sia rimborsabile in Italia per tutte le varianti della malattia».

La rete EBINet

Il ruolo delle associazioni, come Debra Italia ETS e Fondazione RES ETS è dunque fondamentale per monitorare l’attività sui territori e nello stare vicino alle famiglie dei pazienti con epidermolisi bollosa. Per questo in Italia esiste un network dedicato a questa malattia. Si chiama Rete EBINet ed ha lo scopo di promuovere progetti di ricerca locali, per portare avanti un protocollo nazionale e sviluppare piani terapeutici nazionali, e per cercare di diffondere informazioni su tutto il territorio, anche dove non ci sono centri di riferimento. Al riguardo dalle testimonianze raccolte dalla rete è emersa un’immagine con zone d’ombra: in Italia esistono centri di riferimento che garantiscono una presa in carico a 360 gradi del paziente, dal day hospital a follow up del paziente. Ma quando esiste una situazione di emergenza in territori privi di un centro di riferimento, i pazienti devono percorrere lunghe distanze per fronteggiare l’urgenza.

 

Federica Bosco
Federica Bosco
Direttore Responsabile di QuotidianodellaSalute.it. Giornalista professionista, con una lunga esperienza nella comunicazione scientifica, sanitaria e nel sociale. “Parlare è un bisogno, ascoltare un’arte” diceva Goethe e forte di questo pensiero a poco più di 20 anni durante gli studi universitari ho iniziato a maturare esperienza in alcune trasmissioni televisive per raccontare lo sport, andando a cercare storie di promesse e futuri campioni. Completati gli studi al master di giornalismo e pubbliche relazioni di Torino, ho iniziato a collaborare con il quotidiano “Stampa Sera”, per diventare qualche anno più tardi inviata per la testata giornalistica Video News, del gruppo Fininvest. Dal 1998 mi occupo di giornalismo di inchiesta. Tra il 2013 ed il 2015 ho condotto una trasmissione televisiva per Media system dedicata al terzo settore per poi virare nella comunicazione sanitaria e scientifica. Amo le sfide e per questo in trent’anni di carriera non mi sono mai fermata. Ho cercato sempre nuove avventure: televisive, radiofoniche, su carta stampata e, negli ultimi dieci anni sul digitale. Nel frattempo, ho pubblicato tre libri inchiesta: La Bambina di Bogotà (2015) tradotto anche in inglese, Sbirri Maledetti eroi (2019) tradotto in francese, tedesco e inglese e RaccontaMI (2021). Apprezzo la gentilezza e la sensibilità, valori che provo a trasmettere anche nel mio lavoro. Professionalità, precisione e rigore sono caratteristiche che mi contraddistinguono. Ho scritto un romanzo su una storia di adozione internazionale perché credo che l’amore non abbia confini... e i bambini siano il bene più prezioso della vita. Amo i miei figli. Adoro viaggiare e scoprire volti e storie da raccontare. Ho fatto atletica per dieci anni a livello agonistico, amo lo sprint, la competizione e il gioco di squadra tre valori che mi ha trasmesso lo sport e che ho fatto miei. Vorrei riuscire a guidare una squadra vincente in grado di scalare una montagna e una volta arrivata in cima capace di pensare di essere solo a metà del percorso.
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