mercoledì, Luglio 9, 2025
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Emoji e cuori digitali: come cambiano le relazioni delle nuove generazioni

Niente lettere d’amore e serenate: oggi l’affettività passa per una emoji sorridente. O almeno così sembra, secondo un recente studio americano realizzato nell'Università del Texas e pubblicato su PLOS One, che ci apre una finestra sul cuore 2.0 della generazione Z

La generazione Z non scrive lettere profumate, non regala mixtape, e raramente lascia bigliettini tra le pagine dei libri. In compenso, sa costruire un’intera relazione su emoji, reaction e messaggi vocali di pochi secondi. In un mondo sempre più digitale, dove le interazioni avvengono via schermo, anche il linguaggio dell’amore si è trasformato. E ora la scienza conferma che queste nuove modalità comunicative non sono affatto superficiali.

Lo studio americano

Uno studio condotto da Eun Huh dell‘Università del Texas ad Austin, pubblicato sulla rivista PLOS One, ha indagato l’impatto dell’uso delle emoji nella messaggistica testuale sulle relazioni interpersonali. Il risultato? L’uso delle emoji, qualsiasi emoji, favorisce una maggiore percezione di reattività e vicinanza emotiva, elementi chiave per la soddisfazione affettiva. In altre parole, anche una semplice “faccina buffa” può fare la differenza.

Non conta quale emoji, conta esserci

La ricerca ha coinvolto 260 adulti tra i 23 e i 67 anni, ai quali sono stati mostrati messaggi identici per contenuto, ma differenti per la presenza o assenza di emoji. I partecipanti, immedesimandosi nei mittenti, hanno giudicato più reattivi i partner che facevano uso di emoji. Sorprendentemente, non sono emerse differenze significative tra emoji facciali (😄) e non facciali (❤️ o 🍕): ciò che conta è il segnale di presenza, di attenzione emotiva.

Un nuovo vocabolario affettivo

Per la generazione Z Troppe ore su TikTok e Instagram, a rischio il QI dei giovani, cresciuta tra chat di gruppo e direct message, queste sfumature digitali rappresentano un vocabolario affettivo. Un cuoricino blu, un’emoji con gli occhi a cuoricino o persino un pollice in su possono veicolare affetto, supporto o interesse.

Il peso (non leggero) dei simboli digitali

Lo studio sottolinea che l’uso delle emoji funziona come un segnale di coinvolgimento emotivo. E in una generazione che spesso si trova a vivere relazioni a distanza,  per motivi di studio, lavoro o semplice stile di vita; questi piccoli simboli digitali diventano veri e propri ponti relazionali. Il risultato? Le relazioni non sono meno autentiche, ma si stanno adattando a un nuovo contesto. Un contesto in cui fiori e canzoni sono sostituiti da sticker, GIF animate e reazioni con doppio tap.

Uno strumento per la salute emotiva

Questo cambiamento di paradigma non va sottovalutato, nemmeno in campo clinico. Psicologi e terapeuti possono trarre spunto da queste ricerche per meglio comprendere il linguaggio relazionale dei più giovani, intervenendo laddove manchi un’alfabetizzazione emotiva digitale. Perché se è vero che un’emoji può esprimere attenzione, è altrettanto vero che l’assenza può essere letta come indifferenza. Quindi la generazione Z ci insegna che amare, oggi, è anche questione di pixel. E dietro ogni emoji c’è un messaggio chiaro.

Federica Bosco
Federica Bosco
Direttore Responsabile di QuotidianodellaSalute.it. Giornalista professionista, con una lunga esperienza nella comunicazione scientifica, sanitaria e nel sociale. “Parlare è un bisogno, ascoltare un’arte” diceva Goethe e forte di questo pensiero a poco più di 20 anni durante gli studi universitari ho iniziato a maturare esperienza in alcune trasmissioni televisive per raccontare lo sport, andando a cercare storie di promesse e futuri campioni. Completati gli studi al master di giornalismo e pubbliche relazioni di Torino, ho iniziato a collaborare con il quotidiano “Stampa Sera”, per diventare qualche anno più tardi inviata per la testata giornalistica Video News, del gruppo Fininvest. Dal 1998 mi occupo di giornalismo di inchiesta. Tra il 2013 ed il 2015 ho condotto una trasmissione televisiva per Media system dedicata al terzo settore per poi virare nella comunicazione sanitaria e scientifica. Amo le sfide e per questo in trent’anni di carriera non mi sono mai fermata. Ho cercato sempre nuove avventure: televisive, radiofoniche, su carta stampata e, negli ultimi dieci anni sul digitale. Nel frattempo, ho pubblicato tre libri inchiesta: La Bambina di Bogotà (2015) tradotto anche in inglese, Sbirri Maledetti eroi (2019) tradotto in francese, tedesco e inglese e RaccontaMI (2021). Apprezzo la gentilezza e la sensibilità, valori che provo a trasmettere anche nel mio lavoro. Professionalità, precisione e rigore sono caratteristiche che mi contraddistinguono. Ho scritto un romanzo su una storia di adozione internazionale perché credo che l’amore non abbia confini... e i bambini siano il bene più prezioso della vita. Amo i miei figli. Adoro viaggiare e scoprire volti e storie da raccontare. Ho fatto atletica per dieci anni a livello agonistico, amo lo sprint, la competizione e il gioco di squadra tre valori che mi ha trasmesso lo sport e che ho fatto miei. Vorrei riuscire a guidare una squadra vincente in grado di scalare una montagna e una volta arrivata in cima capace di pensare di essere solo a metà del percorso.
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