martedì, Maggio 20, 2025
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Disturbo borderline di personalità: mamma Eleonora chiede aiuto per Silvia

Essere genitore di una ragazza con disturbo della personalità borderline è qualcosa di difficile da immaginare. Lo spiega Katia Verzica attraverso la lettera di una mamma che vorrebbe aiutare la figlia a non far del male a sé stessa e agli altri, ma il Tribunale non la riconosce come Tutor. le conseguenze? Una ragazza anagraficamente adulta in preda ai lupi della società

Katia Verzica, caregiver e futuro counselor

Essere genitore di una ragazza con disturbo della personalità borderline è qualcosa di insostenibile. Nessun sostegno, nessun aiuto riconosciuto, ma la responsabilità di ogni gesto o atto che compie la ragazza. Una stortura che pesa come un macigno sui genitori di ragazzi apparentemente normodotati, che nascondono invece nelle pieghe della quotidianità un rapporto difficile con sé stessi e con il mondo che li circonda. Per questo oggi vi faccio conoscere Eleonora e sua figlia Silvia attraverso le parole disperate che Eleonora ha scritto di getto in questa lettera struggente: «Sono Eleonora, ho 58 anni, mia figlia ne ha 24 ed ha una Diagnosi di Disturbo Borderline di personalità. Mia figlia si chiama Silvia.  Ho deciso  per entrambi di usare nomi di fantasia perché sono così affaticata e disperata che spesso ho pensato di sparire per non soffrire più. Per questo  comprendo il gesto di alcune mamme che hanno deciso di farla finita insieme ai propri figli per disperazione».

Una gravidanza felice

Parole che riflettono lo stato d’animo di questa donna passata dall’euforia per l’arrivo di un figlio alla disperazione più profonda. «La mia è stata una gravidanza bellissima, la prima gravidanza vissuta con tutte le emozioni, paure che una nuova mamma sta vivendo – scrive Eleonora -. Ricordo che tutti mi facevano i complimenti e mi dicevano sei bellissima vedrai che sarà un maschio! Sì, ero così felice, ero raggiante. Ricordo le foto fatte con gli stessi vestiti a scadenza mensile per vedere la crescita del pancione, ricordo le visite per i negozi, tutti mi dicevano che era maschio, ma continuavo a vedere le cosine da bambina ne ero innamorata, fino a quando finalmente abbiamo saputo il sesso ….Sì, il mio sogno e quello del papà era di avere una bambina, tutti erano sorpresi, ma io non stavo nella pelle …Finalmente è arrivato quel meraviglioso giorno ed è nata Silvia, bella come il sole, per me era stupenda!».

I primi anni di Silvia sono stati meravigliosi

Eleonora era in estasi, felice come mai avrebbe potuto immaginare. Il sogno di diventare mamma si era finalmente realizzato ed era arrivata una bambina, come lei e suo marito tanto desideravano. «I primi anni sono stati meravigliosi – ripete la donna -. Silvia cresceva bene: nido, scuola materna tutto quasi perfetto, tanto che con il papà stavamo pensando di regalare a Silvia un fratellino pensando al futuro. E così è stato. Nell’estate del sesto compleanno di Silvia, sono rimasta incinta, tutti erano felicissimi. Silvia era spumeggiante nell’idea che arrivasse un fratellino o una sorellina! La bambina quell’anno iniziava la  prima elementare. Ricordo con emozione il suo primo giorno di scuola. I capelli raccolti in una coda di cavallo, il grembiule e la cartella più grande di lei sulle spalle. Ci guardava orgogliosa del suo primo giorno di scuola e con lo sguardo rassicurante cercava di tranquillizzare noi che eravamo più agitati di lei».

I primi segnali della malattia

Mentre la vita scorre serena e felice per Eleonora e suo marito, Silvia inizia a dare segnali di un disagio sempre più profondo, subito non percepito. Finché la scuola chiama la famiglia per segnalare un problema comportamentale.

«Pochi mesi dopo l’inizio della scuola Silvia era cambiata.  Il suo umore era altalenante: sensibile in alcuni momenti, capricciosa in altri. Spesso piangeva per restare a casa da scuola.  Mio marito ed io ipotizzavamo che il suo malumore dipendesse dai tanti cambiamenti che erano in corso: l’inizio della scuola, l’arrivo del fratellino e per questo cercavamo di renderla partecipe di ogni iniziativa che riguardasse il fratello, in modo da non renderla gelosa».

Arriva la diagnosi: disturbo del comportamento personalità borderline

Ma nel mese di febbraio tutto è precipitato. Per Eleonora, la sua famiglia e per Silvia inizia un viaggio senza ritorno negli abissi più profondi.  «Abbiamo ricevuto una chiamata da parte dell’insegnate di Silvia che ci chiedeva un incontro. Ricordo che a quell’incontro sentivo le due maestre parlare delle difficoltà che avevano notato nella bambina. Non solo nell’apprendimento, ma anche nel comportamento. Hanno elencato diverse situazioni di difficile gestione:  crisi di pianto irrefrenabile o scatti d’ira con calci e pugni nei confronti dei compagni  e degli insegnanti. Alla fine, ci hanno suggerito di parlare con la pediatra», scrive la donna.

Inizia il percorso nel reparto di neuropsichiatria infantile

La situazione diventa sempre più difficile e il pediatra suggerisce alla famiglia di Silvia di portarla da un neuropsichiatra infantile. «In poco tempo ci siamo ritrovati nel reparto di neuropsichiatria infantile: ricovero, test ed esami diagnostici per escludere ogni possibilità. La nascita del fratellino non fa che amplificare le crisi di Silvia.  La bambina vive un’altalena di emozioni: alterna giornate di grande affetto,  con altre di disperazione con crisi, urla, pianti. Insomma, un buco nero senza fine. La sensazione più terribile è quella da genitore di una bambina bellissima,  intelligente, che visivamente non ha alcun segnale di disturbo, ma che durante  le crisi viene giudicata e criticata, mentre noi genitori accusati di assecondare un comportamento viziante».

Disturbo Borderline di personalità: una disabilità invisibile

Ciò che lamenta Eleonora è la poca sensibilità della società nei confronti di chi è disabile ma in modo  invisibile. Si percepisce un disagio, ma per troppe persone è solo frutto di un comportamento viziato. «Inutile spiegare le difficoltà di Silvia: per il genere umano la disabilità ha dei canoni precisi – approfondisce Eleonora -. Se una persona non rientra in quelli non è disabile. I pregiudizi sono ovunque, a cominciare dalla scuola  non preparata a gestire situazioni di questo tipo; nella famiglia, nei vicini di casa, e nel mondo intero!  Sono pochissimi gli amici rimasti perché Silvia, nonostante la psicoterapia intensiva e i farmaci per stabilizzare l’umore e altri  psicofarmaci introdotti successivamente, non è facilmente gestibile. Conciliare i comportamenti di Silvia con i figli degli amici, diventa perciò davvero impossibile!».

L’aiuto mancato

Gli anni passano, Silvia nonostante le difficoltà diventa un’adolescente bella, intelligente, ma non riesce a completare il percorso di studi.  «Alle scuole superiori le ore di assistenza  diventano troppe e Silvia da sola non riesce a stare al passo, anche se è intelligente e con un po’ di aiuto avrebbe raggiunto qualsiasi obiettivo – fa notare la mamma -. L’aver interrotto la scuola precocemente rispetto ai suoi coetanei scatena nella ragazza una forte depressione che, sommata alla sua patologia, porta ad un aggravamento del quadro clinico a livello psichiatrico.  Ciò  non impedisce a Silvia di trovare un lavoro in fabbrica e di gestire i momenti bui con i permessi da 104».

Un agnellino preda per lupi

Silvia lavora ma è fragile psicologicamente, perciò, facile preda di lupi mannari che popolano la società. I genitori si rendono conto dei pericoli che corre e chiedono al Tribunale di essere nominati tutori della ragazza.  «Un giorno ci siamo resi conto che la ragazza conquistata la sua indipendenza grazie al lavoro, non era in grado di gestire il denaro che guadagnava tanto che lo dava a persone a noi sconosciute. Silvia non è in grado di difendersi da manipolatori e gestire in maniera autonoma la sua quotidianità: un conto corrente, le buste paga, il denaro. Non solo viene circuita da uomini che con qualche complimento riescono ad approfittarsi di lei con rapporti non protetti. Più volte la polizia ci chiama a seguito di denunce per comportamenti non idonei tenuti da Silvia in luoghi pubblici. Quindi la vita di Silvia è in pericolo. Rischia di finire nel giro della prostituzione e della droga senza rendersene conto».

Il Tribunale non accoglie la richiesta dei genitori di Silvia

La richiesta di aiuto di Eleonora e del marito si infrange contro il muro della legge, a volte troppo rigido e vincolato a norme che non tengono conto dei singoli casi come denuncia nella sua lettera Eleonora. «La nostra domanda non è stata accolta dal giudice perché nei pochi minuti di colloquio con Silvia ha ritenuto che la ragazza potesse gestire in autonomia i propri guadagni. Un responso che va a vanificare un lavoro fatto in tanti anni, e che mette inevitabilmente mia figlia in pericolo. La disperazione di mio marito e mia non ha fine. Per legge non siamo i suoi tutori e non possiamo aiutarla a gestire la sua vita, ma se Silvia viene arrestata o ricoverata o peggio ancora crea una situazione spiacevole e fa del male a qualcuno, noi in quanto genitori ne rispondiamo».

Perché serve una situazione protetta per chi ha un disturbo della personalità

Silvia avrebbe bisogno di stare in una struttura protetta o in una comunità, invece per la legge è in grado di vivere in maniera autonoma. «Se guardo indietro il ricordo della mamma felice che sono stata è totalmente svanito. Non c’è più. A volte rimpiango di non avere un figlio totalmente disabile di cui potermi prendere cura, piuttosto che vivere nell’angoscia perenne di sapere che mia figlia può fare del male a sé stessa o ad altri.  Il nostro sistema giudiziario è troppo frettoloso ed ha l’aggravante di non rendersi conto che una valutazione errata in casi come quello di Silvia – mia figlia che amo dal profondo del mio cuore – può essere un pericolo per la società. È giusto garantire il diritto ad ognuno di fare le proprie scelte ideologiche, politiche, religiose, ma di fronte ad  una malattia mentale l’individuo deve essere tutelato. Ogni giorno prego affinché mia figlia non faccia mai del male a qualcuno o che nessuno abusi di lei». Si conclude così questa lettera straziante di Eleonora. Un grido d’aiuto rivolto al sistema giudiziario, alla politica e alla sanità, affinché chi ha un disturbo borderline della personalità e la famiglia non siano lasciati soli.

A cura di Katia Verzica,                                                                                          caregiver e futuro counselor 

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