Dolori addominali, mal di testa, nausea, perdita di peso e anemia sono solo alcuni dei sintomi causati dalla celiachia, una malattia autoimmune per la quale l’intestino tenue risponde in maniera anomala al glutine, una proteina presente in orzo, grano e segale. Questa reazione porta ad uno stato infiammatorio che danneggia la mucosa, interferisce sull’assorbimento dei nutrienti e nei casi estremi può portare a malattia neoplastica come linfoma intestinale. Una condizione che per anni è stata associata all’età pediatrica, ma che invece oggi interessa una fascia di età sempre più ampia. Quali sono le motivazioni? Ne parliamo con la dottoressa Carolina Tomba, della Gastroenterologia 2 – endoscopia digestiva dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Dottoressa perché si parla sempre più spesso di persone celiache?
« La celiachia nasce come una diagnosi in età pediatrica, ma negli anni questo scenario è molto cambiato e tanto che oggi viene diagnosticata per lo più in età adulta. Sappiamo infatti che il 65% dei casi oggi viene diagnosticato nella fascia di età tra i 18 e i 60 anni e non è insolito riscontrarla anche in soggetti di età più avanzata, oltre i 60 anni».
Come mai oggi si ammalano persone adulte di celiachia?
«L’esordio classico della celiachia è sempre stato considerato un ritardo di crescita e dunque i sintomi si riferivano ai bambini. Calo di peso e diarrea erano considerati i sintomi più comuni da riferire alla celiachia; invece, si è osservato nel tempo che esistono sintomi più sfumati e tanti soggetti asintomatici».
A cosa è dovuto questo avanzamento di età?
«Il motivo principale va ricercato nella maggiore consapevolezza delle manifestazioni eterogenee della malattia. Nel tempo abbiamo capito che non è solo il quadro classico di ritardo di crescita e mal assorbimento a rappresentare questa malattia, ma che questa si può manifestare anche con disturbi gastrointestinali sfumati, aspecifici, come difficoltà digestiva, alterazione dell’alvo o semplici alterazioni di laboratorio per cui il paziente ha una storia di anemia da carenza di ferro o alterazione delle transaminasi, quindi valori di funzione epatica. Col tempo si è capito che la manifestazione può essere anche caratterizzata da fenomeni isolati non così eclatanti».
Quali sono dunque oggi i numeri della celiachia in Italia?
«Secondo le stime del Ministero della Salute sono 600 mila le persone celiache in Italia, 251.000 diagnosticate: 176.054 donne (70%) e 75.885 uomini (30%). Numeri che indicano un aumento di casi negli ultimi anni e un sommerso da far emergere. Siamo di fronte ad un iceberg di cui si conosce solo la punta»
Quali possono essere dunque le cause della celiachia?
«Si tratta di una infiammazione cronica dell’intestino tenue che genera la produzione di anticorpi specifici e l’atrofia dei villi intestinali. È comunque una malattia innescata dal glutine su una base di predisposizione genetica. A volte associata ad altre malattie autoimmuni come il diabete mellito di tipo 1, la tiroidite autoimmune e l’artrite reumatoide o a sindromi genetiche come la sindrome di Down».
Esiste una familiarità in questa patologia?
«Sì, sappiamo che la celiachia si manifesta per l’ingestione di glutine quindi un fattore ambientale che va ad inserirsi però su una predisposizione genetica. La predisposizione alla celiachia consiste nella presenza nel corredo genetico degli alleli DQ2 e/o DQ8 del sistema di istocompatibilità di seconda classe (HLA). Avere questa predisposizione genetica è una condizione necessaria allo sviluppo della celiachia, ma non sufficiente. Perciò, non tutti i soggetti con questo quadro genetico avranno la celiachia ma è condizione necessaria per svilupparla. Proprio il fatto che esiste questa condizione genetica porta a screenare i familiari di primo grado dei pazienti diagnosticati. Perché presentano una maggiore probabilità di malattia. Se nella popolazione la prevalenza è dell’1 percento, nella predisposizione familiare di primo grado si arriva al 10%. Quindi è consigliato ai familiari di primo grado di un celiaco di fare gli esami del sangue per evidenziare la presenza o meno della celiachia».
Possiamo indicare i sintomi da non sottovalutare?
«Il fattore scatenante come abbiamo detto è l’ingestione di glutine, ma i sintomi possono essere molteplici. A quelli gastrointestinali più noti come diarrea, gonfiore addominale, crampi, dispepsia, perdita di peso, possono essercene altri come perdita di capelli, ulcere alla bocca, debolezza muscolare, anemia, transaminasi alte, osteoporosi, neuropatia periferica ovvero dolore e intorpidimento di mani e piedi e dermatite cutanea pruriginosa».
Esistono degli esami da fare per capire chi è celiaco?
«Il test di prima linea è un esame del sangue per la determinazione degli Anticorpi anti-transglutaminasi tissutale (tTG), di classe IgA. I test di questi anticorpi presentano caratteristiche di elevata accuratezza diagnostica. Vi sono pochi falsi negativi. Questo consente già di avere una risposta precisa alla possibile presenza di malattia, ma non è l’unico elemento che porta alla diagnosi che si basa anche su sospetto clinico. All’esecuzione del test sierologico deve seguire la conferma istologica con il prelievo della mucosa duodenale e con conseguente ottenimento di un quadro istologico compatibile».
Una volta identificata la celiachia cosa accade?
«La terapia è la dieta senza glutine fatta in maniera rigorosa. Una volta diagnosticata la celiachia, il paziente riceve le indicazioni sul regime dietetico da mantenere e deve poi tenere un percorso clinico seguito da un gastroenterologo. Dopo sei mesi dalla diagnosi si fa una valutazione per capire se la dieta è stata acquisita in modo corretto e si va a verificare se c’è già stato un miglioramento clinico. Successivamente il paziente deve essere monitorato e in assenza di complicanze viene svolto un controllo annuale con una visita ambulatoriale gastroenterologica e una valutazione di tutta una serie di parametri di laboratorio».
Non attenersi alla dieta senza glutine cosa comporta?
«La non aderenza alla terapia senza glutine rappresenta un fattore di rischio. La prima complicanza è il mal assorbimento. Una celiachia trattata male o non trattata può determinare il rischio di cadere nelle complicanze di un intestino che ancora non funziona correttamente, deficit nutrizionali, carenza di ferro, peggioramento di astenia e osteoporosi. Quindi può interessare non solo il piccolo intestino ma anche altri organi a distanza. Più rara, ma temuta, è la complicanza neoplastica come il linfoma intestinale, che si va ad inserire in un sottogruppo di pazienti affetti da celiachia che vengono classificati come refrattari e presentano un’atrofia della mucosa del piccolo intestino e una persistenza di sintomi nonostante la dieta senza glutine. Periodi di scarsa aderenza alla dieta possono rappresentare un ulteriore rischio di cadere in questo sottogruppo».
La non aderenza alla terapia a volte ha risvolti sociali perché i cibi privi di glutine hanno un costo elevato…
«Da questo punto di vista ci sono delle agevolazioni. Il governo ha appena introdotto la celiachia nei nuovi Lea. Quindi chi riceve una diagnosi di celiachia ha diritto all’ esenzione del ticket per il monitoraggio della malattia ed ha inoltre un supporto economico per l’acquisto di prodotti senza glutine. Negli ultimi anni questo buono spesa ha subito un processo di dematerializzazione e in molte regioni è possibile oggi acquistare prodotti senza glutine fino ad un tetto di spesa calcolato per sesso, età e in base alla necessità di nutrienti».