domenica, Dicembre 8, 2024
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Carenza di personale sanitario: il problema è solo la remunerazione?

La storia di Catia, un'infermiera che lascia il lavoro della vita dopo aver lottato per conquistarlo, è occasione per Gabriella Scrimieri di analizzare il tema della carenza di personale in un'ottica diversa. La mancanza di empatia e motivazione può logorare il personale al punto da costringerlo a dare le dimissioni.

Le aziende sanitarie vivono per prime il disagio della carenza di personale, dai medici, agli infermieri, OSS e diversi altri profili sanitari. Se ne parla tanto soprattutto in questi ultimi anni, cercando di spiegare le motivazioni che spingono i sanitari a scegliere di cambiare azienda, paese o addirittura lavoro. Ma di un elemento si parla poco e a mio parere potrebbe essere, invece, una chiave importante per trattenere personale nelle aziende.

Cosa spinge il personale ad andare via

A tal proposito vorrei introdurre il concetto dell’employee retention, dunque, ovvero quel processo attraverso cui un’azienda si garantisce che i propri dipendenti non l’abbandonino per altre opportunità lavorative. Il contrario dell’employee retention è il turnover del personale, concetti esattamente opposti. Ogni azienda ha un tasso di retention variabile, dato dalla percentuale di dipendenti rimasti al suo interno per un determinato periodo. La percentuale potrebbe essere così ricavata: se l’organizzazione ha un organico di 1000 persone e alla fine dell’anno ne sono rimaste 550 (esclusi dunque i nuovi assunti) il tasso di fidelizzazione è del 55% dato da 550/1000 x 100.

I motivi dell’abbandono

Ma i numeri ci dicono sicuramente qualcosa, svelano il motivo che c’è dietro l’abbandono dell’azienda. I motivi possono essere diversi, dai motivi familiari, lontananza dalla propria abitazione, orario di lavoro, carico di lavoro, remunerazione, clima organizzativo ovvero lo stato di salute di un determinato ambiente, così come percepito da parte delle persone che in esso operano.

Ma Il fattore umano quanto conta per il personale?

Gli studi ci confermano che il fattore umano è essenziale per la competitività aziendale, e oltretutto i costi di ricerca, formazione e avviamento delle nuove risorse sono alti (secondo Great Place to Work, il solo costo del recruiting supera di ben 3 volte la retribuzione della persona da sostituire). Se in passato si puntava principalmente sul fattore economicooggi la retribuzione è solo una delle leve da utilizzare per migliorare la soddisfazione del personale.

Come fidelizzare il personale

E’ possibile individuare e quindi garantire al lavoratore delle condizioni di lavoro che soddisfino altri bisogni, a parte la remunerazione? Negli ultimi anni sta emergendo una nuova concezione di fidelizzazione dei talenti, che mira a porre l’attenzione sul lavoratore in quanto persona e non più come risorsa produttiva, generando ciò che è stata definita retribuzione emotiva (Poelmans, 2005). Con la retribuzione emotiva si va oltre quella che è una mera ricompensa economica, garantendo al lavoratore:

  1. Un ambiente di lavoro accogliente e stimolante;
  2. Un contesto in cui si investe in formazione e acquisizione della competenze tecniche e trasversali;
  3. Un luogo dove poter coltivare relazioni tra pari e tra colleghi di status differente;
  4. Orari compatibili con la vita privata;
  5. Sviluppare il proprio talento.

Employee Engagement

Ed ecco che qui emerge un concetto chiave per il successo aziendale, correlato alla Retention: l’Employee Engagement, ovvero la misura del grado di coinvolgimento dei dipendenti all’interno dell’azienda, che si traduce in una migliore performance professionale e in un aumento di produttività. I dati parlano chiaro: l’engagement è direttamente correlato con l’impegno sul lavoro (che secondo uno studio PwC aumenta del 57%) e aumenta la fedeltà all’azienda, diminuendo in modo sensibile (-87%) la propensione a cercare opportunità di carriera altrove.

La storia di Catia

Catia è un’infermiera che lavora presso un ospedale della Lombardia. Viene assunta due anni fa circa ed inserita in un reparto di chirurgia epatica. Inizia questa esperienza lavorativa con tanta carica e tante aspettative, d’altronde è giovane e vuole mettere in campo ciò che ha imparato in università. Ma la realtà spesso è ben diversa dai sogni. Il reparto è molto grande, il carico di lavoro è tanto, non c’è molto tempo per l’affiancamento, deve imparare tutto e subito. Ma questo non la spaventa è una sfida che vuole vincere perché ama la sua professione. Inizia ad inserirsi in questo mondo a lei prima sconosciuto, ma c’è qualcosa che la demoralizza molto. Non è lo stipendio, che comunque spera che con il tempo possa migliorare, e neanche il carico di lavoro, perché lei vuole imparare velocemente e si rende disponibile a fare straordinari in caso di bisogno.

La tensione sul posto di lavoro

Il problema che riscontra e che la fa vivere male è il clima interno al gruppo di lavoro. Molta tensione tra i colleghi e anche con il coordinatore. Una tensione che si respira nell’aria e che a volte ricade anche sui pazienti. Risposte frettolose, spesso poco gentili. Catia cerca di capire dove nasce questo malessere. E la risposta non tarda ad arrivare. Il coordinatore di reparto instaura con gli infermieri e gli OSS una relazione fredda e distaccata, ma anche molto autoritaria (non autorevole). Si rende sempre poco disponibile al dialogo, mai disponibile ad ascoltare il personale e a qualsiasi richiesta la risposta è no, non è possibile; senza fornire alcuna spiegazione.

Ansia e insicurezza logorano il personale

Questo clima così pesante si ripercuote su tutto il personale e anche su Catia, che giorno dopo giorno inizia ad accusare ansia prima di iniziare il turno. Anche perché spesso si sente spiata dai colleghi anziani, e dallo stesso coordinatore che, senza troppi giri di parole, le fa capire che essendo giovane si fida poco di lei. Questo genera insicurezza, inadeguatezza e distacco. Catia sente di non amare più come prima questa professione, non capisce cosa le stia succedendo. Prova a parlarne con il suo coordinatore, ma la reazione è sempre molto fredda e disinteressata. Riprendendo le parole del coordinatore: “qui si lavora tanto, forse tu sei giovane e come tanti non hai voglia di lavorare. Se il problema è lo stipendio puoi dirlo chiaramente. In ogni caso puoi cercarti un altro ospedale, magari ti troverai meglio, vai pure nessuno ti trattiene, dopo di te ci sono altri 1000 che prenderebbero il tuo posto”.

Ansia e insicurezza hanno il sopravvento, Catia dà le dimissioni

Catia si chiede chi sono questi 1000 infermieri, visto la situazione attuale del Paese, in ogni caso decide di rassegnare le dimissioni e andare via. Il problema di Catia non è lo stipendio, seppur importante, ma il fatto di non sentirsi inserita in un contesto accogliente ed empatico. I casi come Catia a me riportati sono davvero tanti e richiedono un’attenta riflessione. In un momento così difficile per la sanità e per il reclutamento di personale sanitario, ci possiamo permettere il lusso di trattare i professionisti in questo modo?

 

Gabriella Scrimieri
Gabriella Scrimieri
Direttore Editoriale del Giornale Online Quotidiano della Salute.Una passione nata per caso, affrontando, vivendo e osservando realtà che valeva la pena raccontare. Attraversando corridoi di ospedali da nord a sud del paese, case popolari, quartieri di lusso, interfacciandomi con diverse etnie e con le loro storie di vita, nasce l’ispirazione e il confronto. La sanità italiana e il grande cambiamento in atto. Il sociale che incontra i bisogni di salute dei cittadini, il disagio socio-economico, le cure mancate. Le patologie rare che vogliono farsi conoscere. I familiari o caregiver di persone spesso lasciate sole con la propria malattia. Le istituzioni con le novità legislative, le associazioni leva portante e aiuto costante dei cittadini. A tal proposito ho scritto un libro autobiografico “Sono solo Un’infermiera”, in cui attraverso la mia esperienza di vita e professionale racconto il valore della professione infermieristica e le fatiche a emergere come “professionisti dell’assistenza in Italia”.Editrice, Scrittrice, Infermiera e Manager Sanitaria.Amante della storia e della politica italiana e internazionale. Da più di 23 anni mi occupo di Management sanitario a diversi livelli. Ho conseguito la Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche. Successivamente un Master universitario di II livello in “Health Service Management” presso l’Università degli studi di Siena. Oggi studio Scienze Politiche, con l’obiettivo di approfondire tematiche di mio interesse personale, ma anche “per puro amore della cultura”.Il mio motto: “Non lasciare il mondo come lo hai trovato!”
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