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Caregiver: la rabbia di Katia per tutti i “perché” senza risposta

Controllare rabbia e frustrazione per un caregiver è la prima regola, non sempre facile come conferma Katia. La mamma caregiver di Rebecca spiega quali sono i perché senza risposta che fanno male

Katia Verzica, caregiver e futuro counselor

Questa settimana sento la necessita di raccontare quanta rabbia e frustrazione c’è in una mamma caregiver.

Ho la fortuna di raccontarvi tante storie in  questa rubrica a testimonianza di quello che ogni giorno si vive, ma oggi voglio soffermarmi su quanta fatica si porta avanti! Combattendo, lottando ogni giorno e sopravvivendo…. Sì, noi caregiver dobbiamo sopravvivere in un sistema che non aiuta chi vuole aiutare!

Caregiver  un ruolo ancor più difficile se mancano le risorse

Dal 2011 sono Presidente dell’associazione Genitori Dosso Verde del territorio di Pavia. L’inizio di questa avventura ha coinciso con un periodo molto difficile. Cercavo lavoro per far fronte ai debiti familiari e per sostenere i costi del percorso di psicoterapia e logopedia a supporto di Rebecca. Come tanti genitori con il papà di Rebecca, mi sono iscritta ad un centro polifunzionale  di riabilitazione accreditato, considerato una eccellenza sul territorio. Un percorso in grado di far emergere tutto il potenziale di Rebecca, pur consapevoli delle difficoltà che questo comportava per noi. Ma per migliorare le condizioni della bambina dovevamo fare di tutto.

 Liste di attesa troppo lunghe, il privato è un mutuo

Le liste d’attesa erano e sono lunghe, anzi lunghissime, quasi eterne. Possono passare mesi, anche anni prima di essere chiamati. Ma i genitori non possono aspettare e allora pur di aiutare il figlio/a si comincia il percorso privatamente, un costo che equivale ad un mutuo.

Marzo 2011 arrivano i tagli, stop al sollievo economico

Era il  mese di marzo del 2011 quando siamo stati convocati dalla Struttura e informati,  in corso di riunione, che purtroppo a causa di un tecnicismo di conteggio da parte dell’ ATS, i bambini prossimi al regime convenzionato non avrebbero più usufruito del tanto atteso sollievo economico. Ricordo lo smarrimento quando ho ricevuto la notizia. Ero seduta su una sedia, come tanti genitori, ma con il cuore trafitto da una lama. Avevo voglia di piangere mentre la mente cercava di trovare un porto sicuro dove approdare per trovare i fondi necessari a proseguire il lavoro.

Genitori caregiver persi

La sensazione che ho provato in quel momento è stata di totale smarrimento. Ho avuto la percezione di essere su una zattera in mezzo al mare, abbandonata con altre famiglie. Ricordo di essere rimasta colpita da  un bambino di sette anni circa accompagnato da una mamma che alla notizia dei tagli ha avuto un crollo. Diceva di avere cinque figli e la necessità di  ricevere fondi per andare avanti.

Il presidente del Dosso Verde passa il testimone, lo raccolgo io

Tra tante parole e domande che rimanevano senza risposta, vicino al Direttore Sanitario si è levata la voce di un signore. Era il presidente dell’associazione Genitori Dosso Verde. Non lo conoscevo, anzi non sapevo neppure dell’esistenza dell’associazione che rappresentava i genitori del Dosso Verde. Ascoltai con attenzione le sue parole, nella speranza di trovare le risposte che cercavo, o almeno qualche parola di incoraggiamento per andare avanti. Quell’illusione durò pochissimo perché l’uomo, genitore di un ragazzo prossimo alle dimissioni, aveva deciso proprio quel giorno di lasciare il ruolo di Presidente dell’associazione.

Nell’aria si respira rabbia e frustrazione

In quel momento la stanza sembrava un mercato o ancora una riunione di condominio. Chi parlava con il Direttore Sanitario, chi mostrava tutta la sua fragilità  e domandava ad altri come riuscire a pagare la retta. Nell’aria c’era rabbia e frustrazione. Presa dalla disperazione, alzai il tono della mia voce dicendo:  «Non ci credo che non si possa fare nulla, fosse anche solo una raccolta di firme di protesta, ma dobbiamo agire!».

Il mondo si ferma, divento Presidente con uno sguardo

La stanza si ammutolisce, ricordo che per qualche secondo tutti rimangono in silenzio poi mamma Lucia si alza in piedi, mi guarda e dice: «Organizza, noi ti veniamo dietro. Anzi per noi sei la persona giusta per essere il prossimo Presidente dell’associazione!». Rimango ammutolita poi cerco di spiegare che non posso, devo lavorare, ma mi convincono che in attesa della grande occasione posso dare una mano all’associazione. Detto, fatto. Vengo nominata presidente e mamma Lucia tesoriere. A distanza di tredici anni siamo ancora in carica. In pochi giorni raccogliamo 4000 firme, il comune di Pavia decide di sovvenzionare la struttura per 60 mila euro, i tagli rientrano e tutto torna come da programma.

Lavorare per l’associazione mi dà ossigeno

Lavorare per l’associazione è una delle esperienze più belle e gratificanti della mia vita. Ho conosciuto il valore del terzo settore e il potenziale dei volontari. Alcuni, come Martina, hanno dedicato al Dosso Verde cuore, mente, giornate, nottate e vita. Persone meravigliose che sono parte di me, così come lo sono gli enti del territorio con cui ho collaborato e di cui sono orgogliosa e fiera.  Ma ci sono anche tanti dolori, delusioni, pianti e sacrifici che mi hanno segnato e che ho assorbito come una spugna. Ho fatto miei e ho cercato di elaborarli a gran fatica.

I no che fanno male

Il lato amaro di questo mondo è proprio l’impossibilità, a volte, di riuscire a dare sostegno alle famiglie. Sono tanti i soggetti fragili che accedono allo sportello per chiedere aiuto. L’impotenza di non poter fare nulla per loro è devastante. Ma è davvero così? A volte ho la sensazione di aver dato tutto, altre volte mi rendo conto di essere impotente.

Si potrebbe fare molto anche con poco

Il sistema non aiuta. La mia denuncia è questa. Il sistema non aiuta e non facilita le associazioni, non facilita chi vorrebbe fare volontariato. È un lavoro, ma nessuno lo considera tale. Per ottemperare a tutte le richieste burocratiche dell’associazione devo prendere ferie o permessi, perché? Sono ore di lavoro che non vengono riconosciute. Non solo, le associazioni pagano l’IVA e lo Stato non fa nulla per togliere questo costo anche se non si tratta di attività commerciali.

Tutti i perché senza risposta di un caregiver

Da volontaria prima e Presidente poi di una associazione del Terzo  settore chiedo alle istituzioni perché…

  • perché i fondi raccolti con il 5x mille non arrivano nei tempi prestabiliti alle piccole associazioni?
  • Perché anziché obbligare le aziende ad ottemperare una normativa sull’assunzione del disabile per il quale il 60% delle aziende preferisce pagare una multa, non vengono convertite quelle cifre per formare i giovani disabili e inserirli nel mondo del lavoro con progetti mirati?
  • Perché non favorite i caregiver con degli incentivi se collaborano con associazioni riconosciute?
  • Perché agonizzare il fattore umano invece di incentivarlo?

 Volontariato  terapeutico

Nonostante rabbia e frustrazione non posso non consigliare ai genitori, ai fratelli e sorelle, ai nonni di essere caregiver perché è terapeutico.  Fa star bene, ognuno diventa risorsa non per quantità, ma nell’esserci e nel condividere le informazioni, veicolarle. L’unione fa sempre la differenza! E un gruppo di persone che condivide un obiettivo, può arrivare a traguardi apparentemente impossibili.

A cura di Katia Verzica, caregiver e futuro counselor

 

 

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