domenica, Febbraio 9, 2025
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Autismo: possibile ridurre gli effetti grazie alle cellule staminali

Uno studio internazionale guidato dal dott. Dario Siniscalco sfrutta le cellule staminali cordonali per il trattamento dell’autismo. Due modalità di somministrazione: autologa ed eterologa. Nessun effetto collaterale

Ridurre gli effetti che genera un disordine dello spettro autistico con le cellule staminali. È questa la scommessa di un gruppo di ricercatori internazionali che hanno realizzato uno studio sull’autismo e le cellule staminali pubblicato  su Cell Transplantation da Dario Siniscalco, del Dipartimento di Medicina Sperimentale, divisione di Biotecnologia, Biologia e istologia molecolare dell’Università della Campania “L. Vanvitelli”, e  da Nicola Antonucci, psichiatra, fondatore e direttore dell’Autism Biomedical Treatment Center di Bari.  Ne parliamo con la prima firma dello studio, Dario Siniscalco.

Dario Siniscalco, ChemD, PhD Department of Experimental Medicine University of Campania “Luigi Vanvitelli”

Professore che ruolo possono avere le cellule staminali nei disturbi dello spettro autistico?

«Le cellule staminali svolgono un ruolo fondamentale nel controllo delle infiammazioni in alcune aree cerebrali. Secondo studi internazionali una infiammazione o iperattivazione immunitaria è in grado di modificare l’espressione di geni chiave,  interrompendo i processi del tipico sviluppo neurologico e di conseguenza portando ad uno sviluppo dei disturbi dello spettro autistico. La terapia con cellule staminali, quindi può offrire straordinarie potenzialità per il trattamento dell’autismo».

In che termini?

«Le cellule staminali hanno capacità di autorinnovamento, ovvero la capacità di creare altre cellule staminali identiche; sono in grado di dare origine anche a cellule differenziate; e quelle del cordone ombelicale sono in grado di passare attraverso  la barriera emato-encefalica e di ridurre l’infiammazione che si sviluppa nei soggetti con disturbi dello spettro autistico».

Lei ha parlato di cellule staminali del cordone ombelicale, sono quelle destinate alla cura dei soggetti con autismo?

«Rispetto alle cellule embrionali che contribuiscono anche alla formazione dei tumori, quelle del cordone ombelicale come quelle fetali presentano proprietà antinfiammatorie  e quindi ideali per trattare l’autismo. Nel mondo, sono  diversi gli studi scientifici in corso che stanno costruendo un patrimonio inestimabile con risultati promettenti che possono rappresentare, in un imminente futuro, la possibilità di introdurre la le cellule staminali cordonali (del cordone ombelicale) come terapia standard per il trattamento dell’autismo».

Cosa caratterizza il vostro studio?

«La premessa è che quando si parla di cellule staminali si intende una terapia personalizzata, costruita sul paziente. Quindi lavoriamo sulla personalizzazione della terapia. Nel nostro studio pilota abbiamo usato cellule staminali di origine fetale perché come quelle cordonali sono ottimi mediatori antinfiammatori e poi non creano problemi da un punto di vista etico perché si tratta di feti donati alla ricerca a seguito di gravidanze non andate a buon fine».

Come vengono somministrate al paziente autistico le cellule staminali?

«Le procedure per la somministrazione delle cellule staminali possono essere di due tipi: la terapia autologa, si tratta di cellule staminali prese dal bambino stesso, purificate e re-introdotte. Avendo l’autismo una probabile componente genetica non vanno bene perché le cellule staminali di un bambino autistico conservano quell’anomalia anche dopo il trattamento. È preferibile una terapia eterologa. Le cellule vengono coltivate in vitro in laboratorio e poi infuse nel bambino sottocute, via endovenosa, mentre la nuova frontiera è la somministrazione inalatoria. È meno invasiva e dunque accolta meglio dal bambino».

Quante cellule staminali servono per ridurre gli effetti dell’autismo?

«Per ottenere dei risultati sono necessarie almeno un milione di cellule per chilogrammo del bambino. L’uso di cellule staminali cordonali come terapia del trattamento dell’autismo permette di avere miglioramenti  sul piano comportamentale, comunicativo linguistico e dell’apprendimento».

A che età è consigliato iniziare il trattamento?

«Prima si comincia, meglio è».

Come viene fatto il trattamento?

«Vengono fatte due infusioni in due giorni consecutivi, dopodiché si attendono da sei mesi ad un anno per l’eventuale trattamento successivo».

Possono esserci effetti avversi per il bambino?

«Nei diversi studi in corso in America,  non ci sono stati effetti collaterali, sia che sia state usate cellule staminali da cordone ombelicale conservato, sia da donatore. In qualche caso c’è stata la comparsa della febbre nelle ore successive o al peggio non ci sono stati i miglioramenti  auspicati».

Come può una famiglia ottenere la somministrazione della  terapia delle cellule staminali per ridurre gli effetti dell’autismo del proprio figlio?

«Ad oggi in Italia siamo ancora in una fase preclinica. Dunque, non è possibile usufruire di questa procedura, se non entrando in un trial clinico sperimentale, meglio se fatto da una Università. All’estero, invece, sono molti gli studi che utilizzano anche tipologie di cellule staminali differenti. Questo rende difficoltosa una statistica, anche se ad accomunare tutte le procedure è una curva esponenziale nei primi mesi, poi gli effetti rallentano, ma i benefici sono costanti».

Ci sono ancora delle criticità da superare?

«Premesso che non ci sono effetti collaterali, sarebbe importante che tutti gli studi nel mondo adottassero le stesse procedure per non avere dati differenti, come accade oggi, per cui è difficile avere una valutazione univoca. Le associazioni stanno lavorando in quella direzione. Inoltre, considerando che stiamo parlando di uno spettro e non di una patologia univoca, la personalizzazione delle terapie è fondamentale».

In che modo?

«Uno di questi progetti a cui prendo parte è il progetto GEMMA (Genome, Environment, Metabolome, Microbiome in Autism), costituito da un consorzio di ricercatori internazionali e finanziato dalla Unione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020. Capofila dello studio, di cui faccio parte, è il ricercatore italiano Alessio Fasano di Salerno che lavora all’Università di Harvard a  Boston. Il nostro impegno è rivolto allo studio delle famiglie in cui è già presente un ragazzo autistico per identificare nei fratellini di età compresa tra 0 e 6 mesi se esistono marcatori molecolari in grado di fare una diagnosi precoce.  Ad oggi abbiamo mappato 62 famiglie italiane e ci auguriamo di identificare il marcatore molecolare responsabile del disturbo dello spettro autistico. Questo permetterebbe di identificare i soggetti autistici molto prima dei tre anni, età oggi spartiacque per identificare il disturbo dello spettro autistico ed avviare le terapie».

 

Federica Bosco
Federica Bosco
Direttore Responsabile di QuotidianodellaSalute.it. Giornalista professionista, con una lunga esperienza nella comunicazione scientifica, sanitaria e nel sociale. “Parlare è un bisogno, ascoltare un’arte” diceva Goethe e forte di questo pensiero a poco più di 20 anni durante gli studi universitari ho iniziato a maturare esperienza in alcune trasmissioni televisive per raccontare lo sport, andando a cercare storie di promesse e futuri campioni. Completati gli studi al master di giornalismo e pubbliche relazioni di Torino, ho iniziato a collaborare con il quotidiano “Stampa Sera”, per diventare qualche anno più tardi inviata per la testata giornalistica Video News, del gruppo Fininvest. Dal 1998 mi occupo di giornalismo di inchiesta. Tra il 2013 ed il 2015 ho condotto una trasmissione televisiva per Media system dedicata al terzo settore per poi virare nella comunicazione sanitaria e scientifica. Amo le sfide e per questo in trent’anni di carriera non mi sono mai fermata. Ho cercato sempre nuove avventure: televisive, radiofoniche, su carta stampata e, negli ultimi dieci anni sul digitale. Nel frattempo, ho pubblicato tre libri inchiesta: La Bambina di Bogotà (2015) tradotto anche in inglese, Sbirri Maledetti eroi (2019) tradotto in francese, tedesco e inglese e RaccontaMI (2021). Apprezzo la gentilezza e la sensibilità, valori che provo a trasmettere anche nel mio lavoro. Professionalità, precisione e rigore sono caratteristiche che mi contraddistinguono. Ho scritto un romanzo su una storia di adozione internazionale perché credo che l’amore non abbia confini... e i bambini siano il bene più prezioso della vita. Amo i miei figli. Adoro viaggiare e scoprire volti e storie da raccontare. Ho fatto atletica per dieci anni a livello agonistico, amo lo sprint, la competizione e il gioco di squadra tre valori che mi ha trasmesso lo sport e che ho fatto miei. Vorrei riuscire a guidare una squadra vincente in grado di scalare una montagna e una volta arrivata in cima capace di pensare di essere solo a metà del percorso.
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