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«Autismo ad alto funzionamento, vi racconto il mio Young Sheldon»

Ad un ragazzo di 13 anni viene diagnosticata una forma di autismo ad alto funzionamento. la mamma caregiver denuncia le difficoltà incontrate, ma non si arrende. Chiede più umanità, empatia e aiuto da medici, scuola e istituzioni

Katia Verzica, caregiver e futuro counselor

«Adoro il mio “Young Sheldon” e non farei cambio con nessuno al mondo nonostante la fatica che faccio a capirlo, gestirlo e a cercare di migliorargli la vita». A parlare così è Barbara (nome di fantasia) la mamma di un ragazzino di 13 anni a cui è stato diagnosticato una forma di autismo ad alto funzionamento nel gennaio 2024. «Vorrei raccontare la mia esperienza per essere utile a chi, come me, si trova “buttato” in questo mondo senza supporto ed aiuto di alcun tipo», dice questa mamma che si è trovata inaspettatamente a fare i conti con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico nell’età dell’adolescenza.

 Un fulmine a ciel sereno: autismo ad alto funzionamento

«Mio figlio è sempre stato particolare: molto preciso, con varie fissazioni, ma anche parecchio intelligente.  Non ha mai fatto fatica con la didattica – spiega -. Senza alcuno sforzo portava a casa bellissimi voti e mi sono sempre ritenuta una mamma fortunata per questo. Ma nel mese di settembre del 2023, il ragazzo, che frequentava la scuola media in un istituto statale, ha iniziato a  fare molta resistenza. Era terrorizzato all’idea di andare a scuola e solo a fronte di permessi e di promesse di farlo uscire prima dell’intervallo accettava di entrare in classe».

Sembrava bullismo, ma era molto di più: autismo ad alto funzionamento

Il ragazzino è a disagio e la mamma capisce che qualcosa non funziona più. «Mi si è acceso il famoso “campanello d’allarme” ed ho capito che era vittima di bullismo – sottolinea la donna -, cosa che non deve accadere a nessuno».  Paolo (nome di fantasia)  era oggetto di insulti e minacce.  «Solo ora ho compreso che il danno in lui era amplificato da un’alta sensibilità, particolarmente accentuata nei ragazzi autistici. Per lui  il dramma era gigantesco».

Melt Down – crollo emotivo

La situazione precipita quando il ragazzo manifesta un crollo emotivo. «Dopo questi episodi ha iniziato ad avere crisi la sera (che adesso so riconoscere come “Melt Down”) in cui si dissociava completamente dal mondo. In quei momenti non riconosceva me e non riconosceva sé stesso allo specchio, imprecava, spaccava qualsiasi cosa gli venisse sotto mano. Erano crisi di rabbia e tristezza, si sentiva solo e non compreso».

La richiesta di aiuto

Barbara, impreparata ad arginare il comportamento di Paolo si rivolge ad un centro specializzato. «Presa dalla disperazione mi sono rivolta ad un istituto neurologico e siamo stati ricoverati in neuropsichiatria infantile – ricorda -. Ora, vorrei descrivere ciò che abbiamo passato in quella esperienza. Durante il ricovero, abbiamo fatto tantissimi test. Lui pratici, io invece ho dovuto compilare molti questionari per descrivere i suoi comportamenti nelle varie fasce di età». Mentre la donna trova comprensione e supporto dai più giovani, ha parecchie difficoltà ad interagire con i medici anziani. «Ho riscontrato un’altissima competenza, voglia di imparare e passione tra gli specializzandi, ma, purtroppo, un atteggiamento altamente distaccato dagli specialisti» sottolinea.

A 13 anni la diagnosi di autismo ad alto funzionamento

Alla dimissione la diagnosi è impietosa, ancor più l’abbandono di tutti: dai medici, alla scuola. La donna trova un muro. «Siamo stati dimessi con diagnosi “Disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento”, QI medio pari a 132, unico consiglio, rientro urgente in presenza a scuola, appuntamento di controllo dopo 10 giorni. A proposito delle dimissioni ci saremmo aspettati un colloquio diretto anche con nostro figlio e invece non gli è stato spiegato nulla, lasciandoci soli e impreparati ad affrontare la diagnosi».

Il ritorno a scuola

Una volta uscito dall’ospedale con la diagnosi di disturbo dello spettro autistico, Paolo deve affrontare il ritorno a scuola. «In 10 giorni, ho contattato diverse scuole per completare la seconda media (doveva ultimare il secondo quadrimestre) – spiega la donna -. Mi hanno sbattuto tutti la porta in faccia con varie scuse. L’unica soluzione che ho trovato è stata una scuola parentale on line privata, con costi elevatissimi. Ma essendo scuola dell’obbligo in qualche modo dovevo fare… Ha concluso la seconda media così e attualmente ancora la frequenta».

Mancanza di empatia e umanità

Tra le difficoltà denunciate da questa mamma, oltre alla solitudine nell’affrontare una diagnosi impietosa, anche la totale mancanza di empatia di medici e infermieri. «Alla visita di controllo ho spiegato la situazione e mi sono sentita trattare come una madre inadeguata perché non sono riuscita a trovare la soluzione che mi avevano indicato. Adesso, col senno di poi, mi sento molto frustrata ed arrabbiata verso queste persone. In teoria dovrebbero accompagnare i pazienti nella risoluzione del problema, ma in realtà svolgono il loro lavoro solamente per chiudere una pratica senza minimamente pensare a ciò che una famiglia è costretta a sopportare tra le mura di casa. Ho riscontrato la stessa indifferenza negli operatori sanitari che hanno assistito mio figlio durante uno dei tanti esami che ha dovuto fare, il polisonnogramma, il test che registra la veglia e il sonno con elettrodi in testa. Al risveglio il ragazzo, già provato dall’esame, nel momento in cui l’infermiera ha  cercato di staccare gli elettrodi dalla sua testa, ha iniziato ad urlare. La professionista anziché tranquillizzarlo l’ha mortificato».

Chi non può pagare è abbandonato

Nessun supporto, nessuna informazione, nessuna umanità se non privatamente. È il grido di allarme di questa mamma. «Il mio pensiero va ai genitori che non possono minimamente permettersi di avere un supporto adeguato pagando. E sono tanti, io  compresa. Per stare vicino a mio figlio ho lasciato il lavoro e ora i fondi sono quasi esauriti. Dovrò reinventarmi per vivere e accompagnarlo nel futuro».

Mamme non arrendetevi!

I problemi sono tanti, ma questa mamma è più forte del destino e vuole trasmettere un messaggio di speranza. «Rimango ottimista e positiva. Il consiglio che mi sento di dare a persone che si trovano nella mia stessa situazione è di non perdersi d’animo e di aggrapparsi alle cose positive, perché ce ne sono tantissime. Mio figlio è il mio orgoglio, quando vedo alcuni suoi coetanei senza interessi, sono sempre più fiera di avere un ragazzino che mi sveglia alle tre di notte per raccontarmi della teoria delle stringhe, dei fenomeni dell’elettro staticità, del mistero del triangolo delle Bermuda, delle formule chimiche per guarire il cancro, dei piani di urbanizzazione eco sostenibili e che si prende a cuore persone in grande difficoltà».

Come Young Sheldon

Attualmente siamo sempre isolati a casa perché dopo quello che ha passato rifiuta ogni contatto umano, se non con pochi “eletti”. Abbiamo abbandonato la vecchia psicologa, troppo focalizzata sul bullismo, poco sull’autismo che è il vero problema. Oggi  abbiamo una nuova psicoterapeuta molto preparata. Ci aiuta con consigli pratici che funzionano, e pezzettino per pezzettino stiamo aggiustando tutto».

Manca il supporto per i ragazzi con autismo ad alto funzionamento

«Concludo segnalando che, se pur esistono tantissime strutture e aiuti per ragazzi autistici gravi, a basso funzionamento, manca il supporto per coloro che sono perfettamente autosufficienti ma con grandi difficoltà nelle relazioni sociali. È consuetudine dare per scontato che essendo ad alto funzionamento, le difficoltà siano minori, ma non è così. Chi vive una situazione analoga alla mia, lo sa. Per gli altri, qualche informazione in più può aiutare a capire».

A cura di Katia Verzica, caregiver e futuro counselor

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