Chi soffre di apnee ostruttive del sonno, può essere osservato grazie alla telemedicina. Il malato si sente costantemente seguito, anche se è a casa sua, e operatori e medici possono intervenire in maniera sistematica, coordinata e documentata per aggiustare la terapia e migliorare il risultato.
Problema sanitario emergente
La sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS) è caratterizzata da ripetuti episodi di completa o parziale cessazione del flusso d’aria attraverso le vie aeree superiori, dovuto al loro collasso durante il sonno. Si tratta di un problema sanitario emergente: si stima che ne soffrano 1 miliardo di persone in tutto il mondo. In Italia sarebbero almeno 10 milioni.
Che cos’è l’apnea ostruttiva del sonno?
Diversi sono i livelli della patologia: si ha apnea quando l’interruzione del respiro va dai 10 secondi e meno di 3 minuti; si ha ipopnea quando si ha una riduzione parziale del respiro; si ha il RERA (Respiratory Effort Related Arousal) quando c’è limitazione della respirazione con progressivo aumento dello sforzo respiratorio seguito da un repentino sblocco. Il disturbo interessa più frequentemente gli uomini delle donne e nelle donne è più frequente dopo la menopausa
Rischio di malattie cardiovascolari
Pazienti che a causa della scarsa qualità del sonno soffrono spesso di sonnolenza diurna e russamento notturno e hanno un maggior rischio di sviluppare malattia cardiovascolare. Il trattamento più efficace per questo disordine cronico nei casi da moderato a grave è la CPAP (pressione delle vie aeree positiva continua) erogata attraverso una mascherina nasale (o oronasale), che pressurizza le vie aeree superiori mantenendone la pervietà
Faticoso usare la mascherina
La miglior ossigenazione e la maggiore continuità del sonno permettono al paziente di migliorare la qualità del sonno e della vita, la funzione neurocognitiva e ridurre il rischio di patologie cardiovascolari. Purtroppo, spesso i pazienti fanno fatica a usare la mascherina e l’aderenza alla terapia rimane un problema importante.
Un CPAP che trasmette dati alla piattaforma
«La medicina del sonno è una disciplina particolare perché noi specialisti siamo chiamati a controllare qualcosa che si svolge per forza di cose a distanza, di notte. La maggior parte dei dispositivi CPAP di nuova generazione, tramite un modulo di telemonitoraggio integrato, può trasmettere i dati del trattamento notturno a piattaforme basate su cloud accessibili ai professionisti sanitari che sono in grado di intervenire tempestivamente in caso di problemi fornendo assistenza di qualità ai pazienti a distanza -spiega Maria Rosaria Bonsignore, Professore di Pneumologia e una delle autrici dello studio- Tuttavia, considerando la diminuzione progressiva del personale medico da una parte, e l’aumento esponenziale dei pazienti con OSAS dall’altra, è necessario pensare a un sistema di sorveglianza da remoto che garantisca una gestione efficiente ma allo stesso tempo efficace dei pazienti».
Ponte tra paziente e medico
Il modello di assistenza che prevede una centrale medica Remote Medical Care Centre (RMCC) come punto di raccordo fra il paziente e il medico rappresenta una possibile soluzione a questo problema. Si tratta di un sistema che stabilisce un ponte fra paziente e medico curante rappresentato da personale specializzato afferente all’home care provider, l’azienda che si occupa di fornire l’apparecchiatura e adattarla al paziente. E che permette la registrazione e documentazione di tutti gli interventi, tenendo così traccia della storia medica del paziente e degli interventi che sono stati fatti.
Benefici a lungo
«È un sistema virtuoso che potrebbe essere esteso a tutto il territorio. Per questo abbiamo voluto condurre uno studio pilota mirato a valutare l’efficacia di un programma di telemedicina gestito tramite una centrale medica, nello specifico quello fornito da VIVISOL, unica piattaforma con queste caratteristiche disponibile quando lo studio è stato proposto al MUR -spiega Bonsignore- I risultati sono positivi e ci dicono che l’aderenza alla CPAP migliora, in particolare nei pazienti che hanno difficoltà di adattamento. Se la durata del programma è sufficientemente lunga (5-6 mesi), i benefici persistono per almeno un anno dopo la sua conclusione»