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Anna mamma caregiver pensa al futuro di Omar

Anna è una mamma caregiver, grazie a sensibilità e strategie ha salvato la vita di Omar e costruito per lui una vita dignitosa. Ma manca qualcosa perché Omar possa spiccare il volo. Le richieste di Anna

Katia Verzica

Oggi vi racconto la storia di Anna, 41 anni, mamma caregiver e di Omar, 20 anni. Una gravidanza difficile, un presente fatto di piccole conquiste e un futuro da costruire. Per conoscerli vi porto in Trentino, a Vermiglio, un piccolo paesino di montagna dove Anna si è trasferita da Milano ad appena  18 anni, per amore. Un amore per la terra di suo padre, nativo proprio di Vermiglio e dell’uomo che di lì ad appena un anno sarebbe diventato il suo sposo. La vita le sorride, ha un lavoro, una famiglia e una casa che in poco tempo riesce ad acquistare. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti per accogliere i figli che Dio vorrà donarle. «Abbiamo una buona stabilità lavorativa, comperiamo casa  e ci sentiamo pronti ad aprire le porte ad una dolce avventura, un figlio – mi racconta Anna – . Ero troppo giovane? Forse, ma avendo avuto una mamma giovane, non mi spaventava l’idea».

Nasce Omar, ma la sua vita e il futuro sono in pericolo

La gioia di Anna si scontra subito con una realtà difficile: minacce d’aborto, gravidanza a rischio e astensione dal lavoro. Il senso di felicità e serenità lascia subito il passo alla paura dell’ignoto.  Un sentimento che si amplifica quando alla scadenza, prevista per il 5 marzo 2004 il bambino non nasce. Dopo due induzioni e la rottura del sacco amniotico finalmente il 19 marzo, Festa del Papà, si presenta al mondo Omar. «Una toppa nera in testa e tutto pelosetto è stato un parto veloce ed era andato tutto bene, finalmente era fra le mie braccia», ricorda Anna. Il peggio sembra passato, invece deve ancora venire.

Omar e mamma Anna

L’istinto di Anna permette ad Omar di avere un futuro

E qui l’istinto materno di Anna si fa sentire con prepotenza. Omar dorme sempre, troppo. Anna non riesce ad allattarlo, ma nessuno inizialmente sembra preoccuparsene. «Le altre mamme facevano avanti e indietro dalla nursery per allattare i loro piccoli, io no perché Omar dormiva e le infermiere mi dicevano di lasciarlo dormire». Ma Anna di notte non chiude occhio, avverte che qualcosa non va anche perché Omar non ha un bel colorito e respira diversamente dagli altri bambini in culla, ma viene tranquillizzata: «Mi liquidano dicendo che è normale perché ha ancora un pochino di liquido amniotico da espellere». Invece nulla va come dovrebbe e il giorno delle dimissioni si trasforma in un incubo. Anna viene informata che Omar sarà trasferito a Trento in terapia intensiva perché respira male, gli serve ossigeno e ha la febbre.

Il sesto senso di Anna

A Trento i medici dicono che Omar ha i polmoni pieni di liquido amniotico. Che ha solo il 50% di ossigeno e che il restante viene fornito artificialmente. «Potevo toccarlo appena…,lui solo a lottare nell’incubatrice e io sola lontano da lui». Dopo due settimane di terapia intensiva viene trasferito in patologia neonatale, un segnale positivo per Anna che finalmente può abbracciare il suo bambino e sperare in una dimissione, ma i problemi sono tutt’altro che finiti. Omar fatica a nutrirsi con il biberon, ha un calo fisiologico costante; eppure, dopo un mese viene comunque dimesso. A casa Anna vede il bambino sempre assonnato e decide, con il marito Matteo, di fare qualcosa. Va a Milano, all’ospedale San Raffaele dove, dopo due settimane di ricovero e  tutta una serie di accertamenti vengono riscontrati valori metabolici sballati e viene trasferito all’Istituto Besta. Finalmente nel mese di luglio 2004 viene diagnosticata una encefalo miopatia mitocondriale con difetto al coenzima, poi cambiata negli anni in encefalopatia mitocondriale.

 «Mi chiedono di licenziarmi», il mio futuro è solo Omar

Una sentenza di condanna a cui si aggiungono altre aggravanti. «Siamo soli, perché nessuno sembra sapere nulla della patologia di cui soffre mio figlio, sul posto di lavoro mi dicono che hanno bisogno di personale e mi chiedono di licenziarmi e siamo costretti a lasciare il nostro adorato cane in un canile per renderlo adottabile». Colpi al cuore che Anna fatica ad assorbire, ma non si arrende. Lascia il lavoro e con il supporto della famiglia inizia a mettere in campo una serie di strategie per migliorare le condizioni di vita di Omar.

Strategie per vivere e per dare un futuro ad Omar

Durante la degenza all’IRCCS Besta di Milano, Anna si rende conto che Omar non ha mai visto la luce del sole, allora mette in atto la prima strategia di sopravvivenza  per farlo uscire anche con il sondino a cui è attaccato per nutrirsi. «Mi sono fatta portare ago e filo, nastro adesivo e sacca delle espadrillas. Ho cucito e tagliato la sacca, ho attaccato la bottiglia del latte. Con il lacci rinforzati al passamano della carrozzina ho fatto un buco sotto la sacca da cui usciva la cannetta che collegava la bottiglia alla pompa adagiata nella borsa Mamy sotto la carrozzina. Fissata la pompa e verificato che non entrasse aria nel sondino, ho permesso ad Omar di vedere il sole. Ero emozionata». Gli esperimenti di Anna non sono finiti. Ha imparato a fare la pulizia del sondino, somministrare le terapie, il cambio della bottiglia quando va in allarme e soprattutto a capire i bisogni del bambino. «Aveva quattro mesi quando ho notato che utilizzava bene il ciuccio, ma non il biberon. Ho provato allora ad addolcire il ciuccio con lo zucchero, Omar apprezzava e non aveva rigurgiti. Qualche giorno più tardi ho provato con un cucchiaino di omogeneizzato di mela ed ho ottenuto lo stesso risultato. Sono riuscita così a emanciparlo dal sondino».

Seconda diagnosi, il futuro di Omar è di nuovo in pericolo

Il rientro a casa, in Trentino, dopo mesi in ospedale non è stato facile per Anna. Nonostante il supporto e il sostegno della rete di amici, non ha punti di riferimento. Il pediatra non fornisce informazioni su esenzioni, accompagnamento e supporto psicologico e le condizioni di Omar sembrano pure peggiorare. Continua ad avere una tosse persistente e Anna, alla disperata ricerca di risposte, consulta altri medici, fino ad una seconda sentenza: Discinesia Ciliare Primitiva con lesione al bronco destro causata da ritardi nelle cure. «Neppure quella volta ci siamo piegati  – mi dice – Omar era ed è un guerriero. Alla nostra quotidianità si è aggiunto così un nuovo tassello, la ginnastica respiratoria che deve fare con me o con il padre per un’ora e trenta minuti».

Cosa c’è e cosa manca per le famiglie con disabili

Anna mi spiega che la vita scolastica di Omar è stata possibile grazie ad una collaborazione tra famiglia, scuola e una neuropsicologa infantile sensibile che ha fornito supporto alla famiglia per ottenere l’accompagnamento . «Ma non sempre è così -precisa -. Serve un referente». Sulla propria esperienza Anna ha evidenziato criticità e poi formulato alcune richieste. Cosa serve ad un genitore caregiver?

  • Una figura competente in nozioni giuridiche e fiscali in grado di aiutare  la famiglia con sensibilità ed empatia.
  • Linee guida nazionali da seguire per aiutare il caregiver parentale nel suo percorso di consapevolezza del ruolo.
  • Un lavoro più flessibile per il genitore caregiver di ragazzo disabile
  • Un ingresso nel mondo del lavoro per ragazzi con disabilità

Presente e futuro di Omar

Oggi Omar è un ragazzo solare, simpatico e chiacchierone. Dopo la scuola alberghiera ha fatto uno stage in un locale, prima in cucina poi in sala, ma lo stage è finito e non può affrontare per ragioni di salute e terapia quotidiana un viaggio di oltre un’ora per raggiungere Trento. Nella sua valle non ci sono strutture abbastanza grandi da assumere giovani disabili ed allora Omar frequenta per tre giorni un centro occupazionale e gli altri quattro sta in famiglia. «Omar ha vent’anni e vorrei che fosse accolto nella società, che spiccasse il volo come tutti i suoi coetanei – conclude Anna – ma il suo volo è a metà, e sarà sempre a metà finché non verrà fatto qualcosa in più per accogliere questi ragazzi. Per mio figlio sogno un modello di lavoro come PizzAut di Nico Acampora anche qui nella nostra valle. Servono però investitori e imprenditori illuminati. Spero davvero che si smuova qualcosa ,che arrivi alle orecchie giuste, che la voce che sto dando a Omar non sia data al vento. Un abbraccio da mamma Anna Maria e papà Matteo».

A cura di Katia Verzica, caregiver e futuro counselor 

 

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