In Italia, il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre un milione (di cui circa 600 mila con Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari. Persone che senza quasi rendersene conto scivolano nella spirale delle demenze, dapprima dimenticando un nome o un evento, poi le chiavi di casa. Piccoli avvertimenti del tempo che passa, ma in alcuni casi può essere il segnale di qualcosa di più profondo.
Giornata mondiale dell’Alzheimer
Nella giornata mondiale dell’Alzheimer l’attenzione è rivolta prima di tutto ai segnali quotidiani che possono diventare campanelli di allarme di un inarrestabile destino, ma anche alle strategie da mettere in atto per non sprofondare nel baratro delle demenze. Ne parliamo con la dottoressa Maria Cristina Giusti, (nella foto) specialista in neurologia e malattie neurodegenerative presso il gruppo San Donato, Ospedale San Raffaele Turro.
Alzheimer: a cosa dobbiamo prestare attenzione?
«La maggior parte delle persone con l’avanzare dell’età tende ad avere dei vuoti di memoria – esordisce la dottoressa -. Può essere un sintomo, ma solo se reiterato nel tempo. Spesso invece è una dimenticanza fisiologica. La cosiddetta amnesia nominum, molto frequente con l’avanzare dell’età».
Oltre la memoria, quali sono i campanelli di allarme?
L’Alzheimer nella sua forma classica esordisce con una difficoltà nell’apprendere e memorizzare fatti recenti e il paziente diventa ripetitivo. «Purtroppo, quando si manifesta la malattia neurodegenerativa è già tardi – ammette la specialista – . Questo accade perché il patrimonio dei neuroni viene lentamente e progressivamente eroso fino a che il cervello non riesce più a compensare e si manifestano i sintomi. E progressivamente le aree interessate dalla malattia perdono le loro strutture».
Un test rivela il livello progressivo della malattia
Secondo le indicazioni del Ministero della Salute negli ambulatori neurologici specializzati i pazienti cui viene fatta la diagnosi vengono sottoposti a valutazione con un test ( MMSE) che misura le funzioni cognitive: memoria, linguaggio, funzioni esecutive. Il punteggio ottenuto identifica il livello di progressione della malattia da lieve a moderato a grave, necessario per identificare i migliori farmaci da somministrare al paziente.
Farmaci: perché i biologici non funzionano
In caso di malattia lieve o moderata, si somministrano farmaci anticolinesterasici che stimolano i circuiti neuronali ancora integri che utilizzano Acetilcolina . «Questa cura, introdotta circa 20 anni fa, sembra presentare modesti benefici anche se in alcuni pazienti il quadro clinico si è stabilizzato per un certo tempo – fa notare Giusti -. Da circa dieci anni è in corso la sperimentazione di farmaci biologici o anticorpi monoclonali con l’idea di rimuovere quella che attualmente si ritiene una delle cause della malattia: l’accumulo di proteine anomale nei neuroni. Purtroppo questi farmaci, oltre ad essere molto costosi si sono rivelati poco efficaci e pericolosi per eccesso di effetti collaterali».
La stimolazione
Per la cura dell’Alzheimer ci sono poi tecniche di stimolazione attualmente disponibili con cicli di applicazione elettrica o magnetica transcranica non invasiva da associare a cicli di riabilitazione neuropsicologica. «Ad oggi comunque non abbiamo una cura efficace e sicura in grado di “guarire “ la patologia – sottolinea la specialista -, anche perché non è ancora del tutto chiara la causa e la malattia differisce da soggetto a soggetto».
Strategie riabilitative e sociali: dal paese ritrovato agli Alzheimer Cafè
Per aiutare i pazienti con Alzheimer e le loro famiglie è importante prendere in considerazione anche le strategie riabilitative e sociali per mantenere vive le abilità funzionali del malato più a lungo possibile. «Al riguardo ci sono dei progetti interessanti come “il Paese ritrovato” un borgo di Monza abitato da pazienti Alzheimer, dove gli ospiti, 64 persone con malattia neurodegenerativa, vivono la loro quotidianità tra giardino, bar, parrucchiere, libreria etc., il tutto in un ambiente protetto – racconta l’esperta -. Altri percorsi prevedono invece una gestione in famiglia con la supervisione di gruppi di volontariato a domicilio, e poi ci sono gli Alzheimer cafè, luoghi dove i malati e i loro familiari possono recuperare il piacere di stare insieme e creare nuove relazioni».
Le sfide del futuro: alzare il livello di scolarità dei giovani
Sport, dieta equilibrata e studio queste le regole che la dottoressa Giusti indica come prioritarie da insegnare ai bambini sin dalla più tenera età perché «se è vero che comunque la genetica fa la sua parte – ammette la specialista -. È altrettanto vero che esistono ricerche secondo cui la malattia colpisce più tardi chi ha avuto una buona scolarità e chi ha mantenuto una vita attiva dal punto di vista cognitivo».